8 novembre 1944 - Le "morti bianche" della Galisia
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I rastrellamenti compiuti dai nazifascisti nelle valli torinesi, in particolare nel Canavese dei giorni di ottobre/novembre 1944, inflissero alle formazioni partigiane della zona gravi perdite di uomini. La conquista da parte dei tedeschi della Valle Soana, costrinse molti militari inglesi, integrati nei reparti partigiani, a tentare il rimpatrio sconfinando nella vicina Val d’Isere in Francia, attraverso il valico della Galisia nel Parco del Gran Paradiso a 3000 metri di quota. L’impresa era già stata effettuata con successo nei mesi precedenti con il trasferimento di altre decine di militari inglesi, russi e slavi.
Quest’ulteriore trasferimento non nascondeva quindi particolari incognite per il «Tenente Vittorio», nome di battaglia dell’ingegnar Mario Fattucci di Trecate, che comandò con successo la precedente impresa. Ma le avverse condizioni atmosferiche che nei primi giorni di novembre si presentavano dure, con bufere di neve e vento gelido, rendevano la missione particolarmente difficoltosa. La partenza fu decisa per il 4 novembre dal Santuario di Santa Elisabetta nei pressi di Castelnuovo Nigra. Il gruppo era formato da quarantaquattro uomini, tra soldati inglesi, accompagnati da diversi partigiani delle formazioni canavesane di Giustizia e Libertà. Del gruppo facevano parte tre partigiani autonomi diretti in Francia per rifornirsi di armi. Attraverso la Valle dell’Orco risalendo per Ribordone, Noasca e Ceresole Reale, giunsero alla diga del'Agnel a pochi chilometri dal confine con la Valle D'Aosta il 7 novembre sotto una fitta bufera di neve che non lasciava presagire nulla di buono. La notte fu trascorsa nel ricovero del personale addetto alla costruzione della diga e della centrale elettrica. Al mattino seguente la bufera non aveva cessato di imperversare, ma fu deciso ugualmente di tentare l’impresa, nonostante le incertezze dei partigiani per le condizioni atmosferiche avverse e l’inesperienza degli inglesi. Partirono nella tarda mattinata dell’8 novembre sotto una terribile tormenta. Ben presto la stanchezza e il freddo si impadronirono degli inglesi. Dopo alcune ore di duro cammino il tenente Vittorio, d’accordo con gli altri decise di trascorrere la prima notte all’addiaccio al riparo di uno spuntone roccioso. Al mattino seguente due inglesi non poterono riprendere il viaggio per un principio di assideramento e per la stanchezza determinata dai circa trenta gradi sotto zero, rimasero con loro due partigiani: Carlo Difforville, che sarà poi l’unico sopravvissuto degli italiani, e Giuseppe Mina morto nell’immediato dopoguerra per i postumi del congelamento. Dei due inglesi si salvò solamente Alfred J. Southon ritrovato miracolosamente vivo dopo ben dieci giorni trascorsi nella tormenta e semi sepolto dalla neve. Il resto della spedizione morì nella bufera delle Gorges du Malpasset, «con le braccia tese, con le dita curve in un ultimo tentativo di aggrapparsi a qualche spunto di roccia o ghiaccio, che potesse ancora strapparli a quella orribile morte bianca». Il numero dei morti fu impressionante: quarantuno uomini. La più agghiacciante tragedia in montagna durante la seconda guerra si consumò così, a due passi dal rifugio Prariond, meta della spedizione. Tra di loro nel ghiaccio della Galisia rimase per sempre Elio Di Blasi pompiere-partigiano dell’8° Divisione autonoma «Vall’Orco». I corpi delle vittime furono recuperati solo nell’estate del 1945 da altri vigili del fuoco di Torino e dai valligiani di Ceresole Reale. Oggi riposano nel Cimitero di Guerra Inglese al Parco di Trenno, alle porte di Milano. |