La strage di Bologna del 2 agosto 1980.
I ricordi di Gabriele Golinelli, Maurizio Fochi e Michele Sforza
Quel giorno io, insieme a due compagne di viaggio, passammo col treno dalla stazione di Bologna, il nostro animo era gravemente scosso per quello che era successo il giorno precedente, avremmo potuto essere anche noi tra le vittime di quel mostruoso attentato, per fortuna avevamo preferito partire la domenica anziché il sabato.
Non ricordo bene come e dove passammo col nostro convoglio, ma non dimentico come la stazione stesse ancora mostrando gli spasmi di quel terribile atto criminoso. Quello era solo l’inizio del nostro viaggio che aveva come meta la Grecia. Il treno attraversò velocemente quell'epicentro di così intense emozioni, io e quanti mi circondavano sentivamo forte l’angoscia per quelle vittime, ci chiedevamo cosa avessero mai fatto di male, se non l’essere lì in quel preciso momento; provavamo un’irrefrenabile indignazione per l’accaduto, chi poteva aver voluto una simile tragedia? Non di meno nutrivamo una riverente riconoscenza verso quanti, primi i Vigili del Fuoco, avevano soccorso le vittime ed ancora si stavano prodigando tra le macerie. Avevo fatto l’Ausiliare pochi anni prima e mi sentivo orgoglioso d’appartenere a quella famiglia; ancora non sapevo che ne sarei stato membro permanente di lì a 5 anni. Dopo poco più di un paio di settimane, al ritorno di quel viaggio, ebbi la possibilità, prima vietata, di poter soffermarmi sui luoghi dell’eccidio, meditare sulle rovine di quel cratere, leggere i tanti attestati di cordoglio, e poter scattare quelle foto che qui allego. Quando ancora oggi ricordo quella strage e quelle vittime inermi, considerando che solo poche ore ci distanziarono dal drammatico destino, considero quanto fosse assurda la logica omicida di quegli anni. Bologna era un simbolo, soprattutto per molti di noi giovani che cullavamo l’illusione di un mondo migliore, la sua università come fucina di idee, città roccaforte del Partito Comunista Italiano, che attraverso l’accorta politica di Enrico Berlinguer stava tracciando soluzioni utili a superare la logica dei blocchi contrapposti. L’Europa era divisa in due dal blocco Sovietico; dittature militari, fino a pochi anni prima, avevano frenato il progresso di Grecia, Spagna e Portogallo, facendo ancora sentire tutto il loro nefasto peso in Cile ed Argentina. Noi giovani ventenni, in quegli anni, coltivavamo l’illusione di poter creare un mondo migliore, un mondo di pace, senza frontiere, un mondo di popoli fratelli, in cui i più ricchi concorrevano allo sviluppo dei più poveri (beata gioventù !!!). Volevamo un Europa aperta dove poter viaggiare liberamente con quelli che erano i nostri mezzi preferiti: treno ed autostop. Non avevamo internet, ma ci piaceva riunirci in grandi spazi ed ascoltare quei grandi gruppi, musicisti e cantautori che ancora oggi, attraverso la bellezza di quelle composizioni, segnano la straordinaria vitalità di quella generazione. La spinta di quelle idee da una parte inebriava chi le condivideva, ma dall'altra terrorizzava chi le avversava; per contrastare questo radicale e pacifico cambiamento vennero compiute non poche atrocità, pur di bloccarne la forza rivoluzionaria rinnovatrice. Quello scontro più volte cruento causò lo spargimento di sangue in diversi attentati o in vili imboscate brigatiste. Quella mattanza venne appropriatamente definita da Sergio Zavoli “anni di piombo” Se per noi era allora difficile capire quello che stava succedendo, credo che per un giovane oggi sia impossibile comprendere i significati di quell'impeto, spesso le narrazioni (poco disinteressate) che si fanno oggi, mostrano grandi reticenze. Forse più avanti nel tempo gli storici sapranno meglio delineare i fatti e dare qualche spiegazione più convincente dei vari eventi; a noi che abbiamo vissuto quella magnifica stagione, rimane solo il rimpianto nel prendere atto che tutta quella violenza, oltre a cagionare tante vite, sia riuscita a svuotare nella generalità dei giovani succedutisi negli anni seguenti, quell'ardore ideale che avrebbe forse potuto farli diventare protagonisti della trasformazione per un nuovo mondo migliore, quello che rimane probabilmente solo nei nostri sogni. Maurizio Fochi |
Bologna, 2 agosto 1980, ore 10.25, la data che per sempre ricorderà la terribile strage della stazione ferroviaria di Bologna.
Il Paese stava conoscendo il terrore provocato dagli omicidi rossi, e quelli delle stragi per mano fascista e neonazista. Eravamo nel pieno degli anni di piombo. Solo due anni prima avevamo vissuto e ancora non superato il trauma del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro. Nuovi motivi di profondo smarrimento dal quale ci sembrava lontano e impossibile il momento per riemergere dall’abisso degli orrori. Ricordo che in quei giorni con alcuni amici eravamo in campeggio, libero, tra le montagne della Val Pellice, con precisione al Rifugio Barbara. L’isolamento di quei giorni, ci tagliò fuori dal mondo e da tutto quello che accadeva. All’epoca per fortuna non esistevano ancora i cellulari e ci godevamo il piacevolissimo isolamento. Gli unici momenti che potevano ricollegarci con la realtà erano i turni di lavoro. Infatti non potendo prendere ferie io, Enzo e Maurizio, due colleghi vigili del fuoco del Comando di Torino, scendevamo in città per lavorare. Quel giorno – sabato 2 agosto – eravamo di turno e ricordo che apprendemmo dal televisore della sede di Corso Regina Margherita 126, l’orrore di quel terribile e devastante attentato fascista che provocò la morte di 85 persone e 200 feriti. Giovani, bambini, donne. Sogni strappati, aspettative di vita, affetti e futuro. Vittime innocenti e desiderose solo di godersi qualche giorno di mare nel sud dell’Italia. La catastrofe, che solo approssimativamente ci venne mostrata dalle immagini, ci incollarono davanti al televisore lasciandoci un grande senso di sgomento e paura. A sera tardi, rientrati al campeggio dopo il turno, portammo l’orribile notizia al resto del gruppo rimasto al rifugio. Ricordo che il giorno seguente quella breve vacanza terminò e ritornammo tutti a Torino con una grande oppressione nel cuore. Una settimana dopo, mentre andavo a Foggia, passai con il treno proprio sul binario, da poco ripristinato, teatro della strage, dove vidi ancora netti i segni di quel tremendo attentato. L’angoscia ricopriva il mio cuore. A 40 anni dai fatti conosciamo i nomi degli esecutori, ma non ancora dei mandanti. Allora non bisogna abbassare la guardia e non far diventare il 2 agosto una semplice ricorrenza. Michele Sforza |
Testimonianza dell' Ing. Tolomeo Litterio alla Conferenza di Palermo del 26 Maggio 2023
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Realizzazione di Danilo Valloni
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