1600 - Dalle catene umane ai Brentatori.
Le città del medioevo erano esposte al pericoloso fuoco sia per l’impiego di materiali altamente infiammabili, quali il legno e la paglia, diffusamente utilizzati nella costruzione delle case, sia per la promiscuità delle attività umane.
Accaduti gli incendi, all’epoca non restava che organizzare le famose catene umane, uomini, donne e ragazzi armati di secchi che passandoseli l’uno all’altro, collegavano una fonte di approvvigionamento idrico con l’incendio. Ma quello che si poteva fare era ben poco, sia per la portata d’acqua verso gli incendi, che erano sempre molto irruenti per via dei materiali molto incedibili, sia per i tempi lunghi a organizzare tutta quella gente. Qualche piccolo lenimento al gravissimo problema, si ebbe intorno al XVII secolo quando le catene umane vennero in qualche modo regolamentate e organizzate. Infatti tra le arti chiamate dai governi cittadini a concorrere all'estinzione degli incendi, figurava anche quella dei brentatori; questi, nelle loro mansioni ordinarie, trasportavano il vino dai carri-botte alle botti degli osti con dei recipienti chiamati brente; da queste trae origine la denominazione di brentatori. La brenta è una sorta di bigoncia in legno che si porta sulle spalle per mezzo di cinghie; viene ancora utilizzata da alcuni contadini per la vendemmia. La sua capacità non era uguale dappertutto. A Milano era di circa 75 litri, a Torino 39,30. Con i recipienti calzati a spalla questi, nei momenti di emergenza, trasportavano l’acqua dopo averla prelevata dai pozzi e dalle bealere. Per accorrere più prontamente in caso di bisogno, i brentatori torinesi abitavano tutti nei dintorni della chiesa di Santo Spirito, tuttora esistente in via Cappel Verde nel cuore della Torino antica, a due passi dal Duomo. Le sue campane, battendo a martello, avevano il compito di allertarli per l’incombente pericolo. Il ruolo dei brentatori era fondamentale perché dalla loro efficienza, dal loro numero e dalla volontà di operare con efficacia dipendeva per gran parte l’esito della “vittoria” sul fuoco. Naturalmente a fronte di questo gravoso impegno i brentatori, che non percepivano alcun compenso in soldo, godevano di alcuni privilegi concessi loro dalle autorità cittadine. Questo era il «diritto del pongone», cioè la concessione di prelevare gratuitamente una parte del vino trasportato. Ma la semplicità e la rudezza dei mezzi utilizzati da questi archetipi “pompieri”, non forniva loro grosse possibilità di successo contro il non sempre amico fuoco. Alle brente utilizzate dai brentatori per il trasporto dell'acqua sul luogo dell'incendio, bisognerà attendere la prima metà del Settecento perché si sostituissero delle macchine in grado di fronteggiare meglio e con un margine di successo l'incendio: le pompe a mano. Queste diedero luogo ad un primo vero mutamento delle tecniche di estinzione permettendo così di ottenere i primi veri successi contro il fuoco. Le nuove scoperte tecnologiche, avutesi tra la fine del Seicento e nel corso del Settecento, avevano creato condizioni favorevoli anche per ciò che concerne la lotta al fuoco. Questi nuovi impulsi hanno fatto sì che venissero approntate o quantomeno sostanzialmente modificate quelle macchine inizialmente chiamate spruzzatoj, poi meglio conosciute come trombe idrauliche. M. Sforza, Pompieri, cinque secoli di Storia di un'antica istituzione, U. Allemandi, Torino 1992. |