1656 - Dalle brente alle pompe a vapore.
Una delle prime pompe adoperate contro il fuoco fu quella di Ctesibio che rimonta al II secolo a.C. e si pensa che sia stata inventata per lanciare liquidi infiammabili per scopi militari. Altre macchine vennero dopo quella di Ctesibio. Ma non si ha memoria di una loro effettiva efficacia.
Nel 1656 in Germania fece la comparsa una pompa, solo premente, quindi con la necessità di alimentarle con secchie d’acqua, chiamata appunto «spruzzatojo», messa a punto da Hans Hautsch, che aveva la capacità di spingere ad un’altezza di 24 metri una colonna d’acqua di circa 25 mm di diametro. Erano certamente delle macchine idrauliche ancora difettose che spesso spingevano chi era preposto alla salvaguardia delle città dal fuoco, a preferire le solite secchie, scale e ramponi. Solo nel 1675 si incominciarono ad affacciarsi delle macchine munite di camere d’aria collegate alla pompa, in grado di aspirare l’acqua da una qualunque fonte, pozzi, canali irrigui, ecc. Questo fu possibile grazie anche all’introduzione dei tubi di mandata, precursori delle attuali manichette da incendio. Inizialmente erano in cuoio e avevano una lunghezza massima di 15 metri con raccordi in ottone. I primi ad introdurle furono i fratelli Giovanni e Nicola Van der Heide di Amsterdam nel 1572. La prima vera pompa, quella che più si avvicinava alle pompe della prima metà del 1800, fu quella ideata da Raimond Newsham di Londra. Era montata su un carretto a quattro ruote, il che permetteva di trasportare la pompa in modo agevole sin sul luogo del sinistro. Era aspirante e premente e veniva azionata da una dozzina di uomini, tramite due leve contrapposte. A questa pompa ne seguirono altre ma tutte rimasero sostanzialmente immutate, se non nei dettagli costruttivi. Solo a partire dal 1840 vi furono delle vere innovazioni che permisero la riduzione dello sforzo umano, sia nella manovra, sia nel trasporto sui luoghi del sinistro. Nel 1688 il Comune di Torino deliberò l’acquisto di una macchina per «schiggi», nel piemontese antico si dice di qualcosa che «schizza, spruzza acqua o simile in qualche luogo». La Congregazione […] per oltre propone come per il rimedio che la città deve in occasione che s’accende il fuoco in qualche parte di essa non sarebbe male di far venire una persona tedesca qual ha ritrovato ingegno per quale si getta acqua ben in alto, in grande quantità, e cossì appiccia il fuoco in qualche parte d’una casa nella sommità dalla terra senza portarci acqua quella con detto ingegno può gettarle, e cossì estinguere il fuoco in quella parte che non si può andare con la persona, e non sarebbe male di farlo venire, e procurar di metterlo in esseguir. (Verbale del Consiglio Comunale del 18 giugno 1668) Le pompe idrauliche di Ctesibio, di Hautsch, Newsham, Chatel ed altri, ricordano sempre lo sforzo dell'uomo per uscire vittorioso nella lotta contro le forze della natura, a volte impari, ma che sempre andavano in qualche modo ricondotte alla normalità. Nel caso che gli incendi avvenissero di notte, i primi ad essere avvertiti dovevano essere i panettieri o i fornai, perché questi, essendo sempre svegli, ricevuta la notizia avrebbero avvertito immediatamente le autorità preposte alla difesa dagli incendi. Tuttavia questi sforzi non garantivano ancora una buona protezione dagli incendi. Nonostante la buona volontà dei pompieri e dei loro ufficiali la tempestività del soccorso era ancora un desiderio troppo lontano dal realizzarsi. Al manifestarsi di un incendio l’avviso per il soccorso dei pompieri generalmente veniva dato da una guardia comunale e questi al trombettiere che doveva poi, sia di giorno, sia di notte, recarsi presso i luoghi di lavoro o presso le abitazioni dei pompieri per avvertirli della chiamata, non essendo questi accasermati. Tutto questo richiedeva tempi lunghissimi e la popolazione non sempre accoglieva con riconoscenza l’arrivo del drappello dei pompieri, pur riconoscendogli lo sforzo e l’impegno. Questi arrivavano stanchi e trafelati a causa del faticoso trasporto a spinta delle pompe a mano, in quanto all’epoca il traino, lungi ancora dal farlo con gli animali, era affidato alla sola forza fisica degli uomini. L’ostilità delle popolazioni, dimostrata a volte ai poveri pompieri, era causata anche dalle multe e dalle spese che la gente doveva pagare all’erario civico qualora fosse stata vittima di un incendio. Al danno la beffa di vedersi multare. Un ulteriore aggravio della situazione si aveva perché molta gente, per non pagare l’ingiusta gabella, cercava di risolvere da se eventuali piccoli incendi, ma la mancanza di esperienza e di un’adeguata attrezzatura, sovente il piccolo incendio si trasformava in un grave disastro. Tuttavia accadeva che i comuni condonassero i più indigenti dal pagare la multa o le spese di estinzione. Un ruolo importante in questi casi era rivestito dalla Chiesa, l’unica in grado di intercedere a favore dei meno abbienti. Padre Giuseppe Maliardi della parrocchia della Beata Vergine della Neve e dei santi Apostoli Simone e Giuda, dichiarò che il signor Andrea Pelerino non poteva pagare le spese per l’estinzione della canna fumaria della sua abitazione in contrada Borgo Dora, per il suo stato di assoluta povertà e perché «padre di cinque figliuoli, colla madre vecchia, era impotentissimo a qualunque spesa a cui possa essere soggetto più le disgrazie del fuoco». Lo stesso accadde al signor Giovanni Cardone, tintore, affrancato dal pagare le spese dell’incendio della sua casa, perché «incapace di sopportar delle spese per il fuoco successo nella sua abitazione non avendo altro che la giornaliera fatica per mantenersi il suo onore». L’introduzione della trazione animale per le pompe idrauliche migliorò sensibilmente la situazione, consentendo tempi più rapidi e una maggiore capacità operativa dei pompieri, che giungevano sui luoghi dei sinistri più freschi e riposati. Ma bisognerà attendere ancora qualche decennio per affermare veramente la vittoria dell’uomo sul fuoco. Questo avvenne con l’introduzione del vapore come forza propulsiva delle pompe da incendio. Avvenne alla conclusione del secolo XIX. Si ebbe così un ulteriore miglioramento tecnologico, sempre dal punto di vista pompieristico, quando le industrie del tempo cominciarono a produrre nuove e sempre più potenti macchine per la difesa dal fuoco. La rivoluzione industriale, termine coniato da Arnold Toynbee nella sua Lectures on the Industrial Revolution of the 18th Century in England del 1890, fu possibile grazie alla diffusione del vapore che determinò enormi stravolgimenti sociali ed economici, tanto da mutare completamente, tra i secoli XVIII e XIX, i metodi ed i cicli produttivi industriali. Ben si comprende come anche le macchine da incendio beneficiarono di queste profonde innovazioni, soprattutto per il movimento delle pompe mosse dalla generosa energia erogata dalle potenti caldaie a vapore. La fatica di decine di pompieri veniva alleviata da una sola pompa a Vapore che sbuffava allegra sotto l’attenta sorveglianza del suo conduttore e del fuochista. E del 1883 l’acquisto della prima pompa a vapore per i pompieri di Torino. Si trattava di una pompa del sistema Thirion di Parigi, montata su di un carro a quattro ruote, con sospensioni a molle e trainabile da una pariglia di cavalli. Capace di una forza di 40 cavalli-vapore. era in grado di erogare 2000 litri di acqua al minuto. Dopo undici minuti dal momento dell’accensione della caldaia, si ottenevano le sette atmosfere necessarie per il normale funzionamento della pompa. Per ridurre i tempi di entrata in funzione, un pompiere-fuochista aveva il compito di tenere al minimo la pressione anche di notte. Lungo il tragitto verso l’incendio, lo stesso pompiere, attizzando il fuoco, provvedeva ad alzare la pressione così da avere la caldaia pronta al sopraggiungere sul luogo del sinistro. L’acqua aspirata, sempre dalla pompa, mediante tubi del diametro di 130 millimetri, poteva alimentare contemporaneamente sino a dodici lance, aventi l’orifizio del diametro di 10 millimetri, con un getto di oltre 25 metri di lunghezza in orizzontale. Il suo peso si aggirava intorno ai 2200 chilogrammi. All’artigiano, che solo all’occorrenza veniva impiegato per il soccorso, ovunque si era oramai sovrapposta la figura sempre più preparata del pompiere professionista, sempre più preparato e in grado di affrontare situazioni complesse e delicate e, non di poca importanza, con un rapporto di lavoro di tipo stabile. Nacquero così nelle nostre città le Compagnie dei Pompieri, segnando un importante passaggio verso il moderno Vigile del Fuoco. M. Sforza, Pompieri, cinque secoli di Storia di un'antica istituzione, U. Allemandi, Torino 1992. |