Il terremoto di Foggia del 1731.
Il terremoto del 1731 devastò gran parte del sud, ma in particolare Foggia, il centro più colpito, come annotò il cronista Lodovico Antonio Muratori nei suo Annali d’Italia: “tutta fu convertita in un monte di pietre e più di tremila persone rimasero seppellite sotto le diroccate case. Non restò pur uno de’ sacri templi e chiostri in piedi; e frati e monache ed altri abitanti, ch’ebbero la fortuna di scampare, andarono raminghi per le desolate campagne, cercando e difficilmente trovando un tozzo di pane per mantenersi in vita”.
La scossa, pari al IX grado della scala Mercalli, schiantò la città alle ore 21.45 di martedì 20 marzo. Data l’ora molta gente fu sorpresa a letto. Furono circa 4.000 le vittime su una popolazione di 15.000 abitanti. Quel terremoto rappresentò per la città, sia dal punto di vista architettonico, sia dal punto di vista urbanistico, una cesura netta che avrebbe modificato profondamente il suo volto. Gran parte degli edifici, specie quelli religiosi, saranno poi ricostruiti, conferendo una particolare connotazione alla città. Il poeta napoletano Vincenzo Maria Morra dedicò questi versi alla città colpito dalla grande tragedia: "Vedo su la città l’aria sì oscura, / sì fiera, e sì terribile d’aspetto, / che ‘l rammentarla sol mi fa paura. / Vedo per ogni via, per ogni tetto / sparger d’orrendo incendio alte faville / Tesisene, Megera e l’empia Aletto. / Vedo a piè delle mura a mille a mille / gli abitatori della città infernale, / come chi dà l’assalto a suon di squille. / Altri le scale appoggia, e su vi sale / porta altri altrove inaspettata guerra, / e con ferro, e con fuoco i ponti assale. / Ferrata mazza altri a due mani afferra, / corre alle porte, e ciò che ‘n lui s’intoppa, / spezza, infrange, e i ripari abbatte, e atterra; / Foggia va a terra, la possente antica, / famosa Foggia, che vantò corona / sovra l’Appula spiaggia al Ciel sì amica. / Fuggon vecchi, e fanciulli, ogni persona / nobil, o vil; ma il turbine fatale / né a sesso, né ad età guarda, o perdona. / Altri scampa, altri more, e nel ferale, / estremo eccidio alcun (ahi caso amaro) / pria v’è sepolto, che lo spirito esale. / Vedea le genti dissipate, e sparte / per varie strade, timide, e dogliose, / colla zappa alla man, con forza, ed arte / estinte ricercar persone ascose / sotto all’infrante mura, e ritrovate / pianger sovra di lor meste, e affannose. / Di sotto alle ruine altre scampate / vederne uscir, e vinte da spavento / fuggir alla campagna egre, e piagate". Gravi danni vennero sofferti anche dai comuni confinanti con la Murgia barese. |