Il 1° Campo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
L’attuazione di un servizio di soccorso avente le stesse caratteristiche su tutto il territorio nazionale, avvenne per gradi a partire dal 1935, anno in cui fu emanato il R.D.L. 10 ottobre 1935, n. 2472, concernente l’organizzazione provinciale e la coordinazione nazionale del servizio di soccorso. Il decreto istituì, ponendolo alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno, il Corpo Nazionale Pompieri che, oltre all’estinzione degli incendi e al soccorso tecnico in genere, ebbe demandata anche la prevenzione degli incendi.
I servizi del Corpo avevano un’organizzazione provinciale con il Comando dislocato presso i capoluoghi delle province; vennero altresì istituiti i distaccamenti nei centri più importanti. I comuni concorrevano al mantenimento economico dei servizi di soccorso. Un altro importante passo verso l’auspicata unificazione del soccorso venne così compiuto, dopo anni di attese e pressioni portate avanti da varie organizzazioni, prima tra tutte la Federazione Nazionale dei Pompieri, che già nel 1908, nel corso del VII Congresso Nazionale dell’Associazione dei Comuni Italiani (ANCI) tenutosi a Venezia, vennero resi noti i dati statistici raccolti dalla |
Federazione, risultò una profonda disomogeneità del servizio antincendio nel nostro Paese.
Risultò che solo 429 comuni, il 5,19 % del totale erano provvisti di una sistema antincendio organizzato.
Comunque con il R.D.L. 16 giugno 1938 n. 1021, il termine «Pompieri» venne sostituito con «Vigili del Fuoco», definizione sicuramente meno romantica e rievocativa di una tradizione, ma più calzante rispetto al francesizzante Pompieri, termine poco gradito ai fautori dell’autarchia anche linguistica.
Il 27 febbraio 1939 il R.D.L. n. 333 convertito poi nella Legge 27 dicembre 1941 n. 1570, sanciva la nascita Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e dettava le nuove norme per l’organizzazione dei servizi antincendi, definendo i compiti e le finalità del Corpo, «il quale è chiamato a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di soccorsi tecnici in genere, anche ai fini della protezione antiaerea. Il Corpo è chiamato, inoltre, a contribuire alla preparazione delle forze necessarie alle unità dell’esercito di campagna ed ai bisogni della difesa territoriale».5
L’unità dei Corpi dei Civici pompieri nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, quindi, seppur ancora nella fase iniziale, era ormai un fatto incontrovertibile. Questo avrebbe consentito di eliminare, almeno in parte, i gravi problemi di disparità territoriale in fatto di soccorso. Seppur ancora bisognose di tempo, le riforme apportate avrebbero finalmente consentito di superare una lunga crisi sofferta non solo dal personale, ma soprattutto dalla popolazione civile, favorita o meno dalla presenza o dall’assenza di una struttura antincendio territoriale.
Purtroppo però di lì a meno di un anno, la macchina organizzativa che da poco aveva cominciato ad entrare nel pieno dell’attività, sarebbe entrata in crisi per l’inizio del secondo conflitto bellico, crisi superata solo per l’enorme esperienza e professionalità degli uomini e al loro senso di sacrificio.
Ma questa è un'altra storia.
La Direzione Generale dei Servizi Antincendi, l’organo centrale del Corpo Nazionale, volle sancire l’importante e storica riforma, con un’imponente manifestazione che si svolse in Piazza di Spagna a Roma il 2 luglio 1939: il 1° Campo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
L’evento, che vide la partecipazione di centinaia di vigili provenienti da tutte le città capoluogo, se opportunamente spogliato del valore autocelebrativo e propagandistico che il regime volle dargli, ebbe il merito di creare un clima di amicizia e di rispetto tra il personale delle diverse realtà territoriali, e non più di competitività e di confronto tra i diversi Corpi, così come avvenne nei concorsi-convegni pompieristici dei decenni precedenti.
In effetti il 2 luglio fu solamente il giorno in cui venne messo in mostra, alla presenza del Duce, dei vari gerarchi e delle massime autorità istituzionali, il grado di organizzazione raggiunto. La cosa veramente importante, al di là di ogni retorica e appesantita necessità di propaganda, furono invece i giorni che precedettero la manifestazione conclusiva, quando durante la vita di campo e durante le esercitazioni ginnico-professionali i vigili ebbero modo di conoscersi veramente, di scambiare esperienze e di abbattere, almeno in parte, le differenze e le diffidenze geografiche.
Ed era la prima volta che questo avveniva.
C’erano state è vero molte altre occasioni: i concorsi-convegni e le grandi calamità come i disastrosi terremoti di Messina del 1908 e di Avezzano del 1915, ma le condizioni erano evidentemente del tutto diverse.
Dunque, per sette giorni 1850 Vigili del Fuoco provenienti da tutte le province d’Italia, comprese le Colonie della Libia, dell’Egeo e dell’Albania lavorarono alacremente tutti insieme per raggiungere quella perfetta forma fisica e preparazione professionale, condizioni indispensabili per una importante dimostrazione professionale come dovette essere quella del 2 luglio.
Hanno recato con sé, da ogni parte della penisola, una baldanza fervidissima, una passione tutta slancio e tenacia ed i loro multiformi attrezzi tutti ingegnosità e perfezione: autocisterne, autoscale, autopompe. (Il Popolo di Roma, 27.06.1939)
Tutto il personale, compresi gli Ufficiali e i Comandanti, venne sistemato in un vasta tendopoli realizzata in località Acqua Cetosa, un campo perfettamente autonomo e dotato di tutti i servizi: sanitario, igienico, elettrico, idrico, di cucina, di posta disimpegnato dalla Milizia Postelegrafonica, di tesoreria affidato al Banco di Napoli e per concludere un Ufficio Stampa.
Una rigida disciplina scandì le giornate dei vigili.
Sveglia alle ore 5.00. Alle 6.00 adunata con alzabandiera alle 6.15. Alle 18.45 con l’ammaina bandiera si concludeva la giornata lavorativa. Alle 19.30 veniva consumato “il secondo rancio” e alle 21.30 tutti a dormire.
I visitatori del campo venivano accolti da un’enorme “M”, in onore del Duce, posizionata al centro dell’ingresso principale.
Entrati nell’accampamento i visitatori si imbattevano in una prima nota evidente del carattere dell’accampamento: uno schieramento di automezzi, di motopompe e di motociclette munite di lancia e manichetta. Mezzi nuovi fiammanti e di recente dotazione ai Corpi, fatti giungere a Roma per l’occasione.
La dimensione del campo era enorme. Si sviluppava dal Viale dei Parioli sino alle sponde del Tevere e l’attività al suo interno ora febbrile, ora tranquilla, era caratterizzata dalla tipica vita del campo militare con reparti in tenuta da ginnastica o a torso nudo impegnati nella preparazione dei saggi ginnici; reparti con le nuove divise impegnati a sfilare con gli automezzi o alle prese con scale e funi al Castello di Manovra, squadre che trasportano materiali, mute che si preparano per il cambio della guardia, gruppi che vengono dalla doccia; assembramenti vicino alle cucine. Le due bande musicali dei Corpi di Milano e Napoli. Oppure tutti insieme schierati alle prove dei canti. E anche momenti di pura goliardia, che erano come lo sono tutt’ora, una costante tra i pompieri.
Finalmente il 2 luglio alla presenza del Duce e di una grande folla di spettatori i Vigili del Fuoco poterono dimostrare il loro grado di addestramento. Sull’arena erano state costruite le sagome di una raffineria di liquidi infiammabili, di un edificio pubblico e di un quartiere cittadino.
Lo scenario edilizio faceva da sfondo allo schieramento dei quattro battaglioni di vigili, inquadrati per la cerimonia iniziale.
La manifestazione prese il via con il passaggio nell’arena dell’imponente colonna del reparto motociclisti, delle autopompe, delle autoscale e degli altri automezzi da intervento.
Subito dopo centinaia di uomini a torso nudo, così come veniva evidenziato dai giornali del tempo, diedero vita alle evoluzioni ginniche con scale, quelle in legno denominate “Scala all’Italiana”, diventate poi con l’ausilio di lunghe funi Scale Controventate e Scale Romane, manovrate da un alto numero di vigili, tutti nelle nuove divise color caki, di cui il Corpo da poco era stato dotato.
Le scale, tenute verticalmente senza alcun appoggio se non quello della base, venivano sorrette in stabile equilibrio dai “venti”, le funi incrociate e sostenute da vigili, attenti ad ogni minima variazione dell’assetto verticale. I vigili giunti alla sommità in segno di saluto fecero partire una scarica a salve di moschetteria.
Contemporaneamente il Castello di Manovra veniva preso “d’assalto” con la scalata ai vari ordini delle finestre di oltre ottanta vigili muniti di scale a ganci, sulle quali compirono degli straordinari esercizi, resi ancora più suggestivi dall’alto numero dei partecipanti.
Al termine delle applauditissime evoluzioni ginnico-professionali, gli altoparlanti diffusero l’allarme simulato di un attacco aereo, subito seguito dal sorvolo di cinque aerei bombardieri.
La simulazione, quasi a triste premonizione di quello che sarebbe accaduto alcuni mesi dopo sulle città italiane e sulla stessa Roma, proseguiva con il bombardamento del villaggio finto, verso il quale subito dopo si recarono numerose squadre di soccorso per il salvataggio delle vittime e lo spegnimento degli edifici in fiamme.
Nella caligine della sera che scendeva, tra gli scoppi, o delle vampate che avviluppavano le costruzioni in un simulacro di rovina, la folla di tutta Roma ha visto muoversi, quasi in dissolvenza, le figure dei Vigili del Fuoco; e nessun dubbio che se la realtà dovesse prendere il posto della finzione, noi vedremo questi saldi uomini scagliarsi contro il pericolo, qualunque esso sia, con lo stesso animo e la stessa superba dedizione di cui ieri hanno dato solenne prova. (Il Litorale, Roma 27.06.1939).
Parole profetiche quelle de “Il Litorale” perché al di là della retorica giornalistica dell’articolo, quelli stessi pompieri esattamente un anno dopo, dal 12 giugno del 1940, avrebbero davvero dato prova delle loro capacità professionali, su uno scenario ben diverso da quello di Piazza di Siena e … tremendamente più vero.
Risultò che solo 429 comuni, il 5,19 % del totale erano provvisti di una sistema antincendio organizzato.
Comunque con il R.D.L. 16 giugno 1938 n. 1021, il termine «Pompieri» venne sostituito con «Vigili del Fuoco», definizione sicuramente meno romantica e rievocativa di una tradizione, ma più calzante rispetto al francesizzante Pompieri, termine poco gradito ai fautori dell’autarchia anche linguistica.
Il 27 febbraio 1939 il R.D.L. n. 333 convertito poi nella Legge 27 dicembre 1941 n. 1570, sanciva la nascita Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e dettava le nuove norme per l’organizzazione dei servizi antincendi, definendo i compiti e le finalità del Corpo, «il quale è chiamato a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di soccorsi tecnici in genere, anche ai fini della protezione antiaerea. Il Corpo è chiamato, inoltre, a contribuire alla preparazione delle forze necessarie alle unità dell’esercito di campagna ed ai bisogni della difesa territoriale».5
L’unità dei Corpi dei Civici pompieri nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, quindi, seppur ancora nella fase iniziale, era ormai un fatto incontrovertibile. Questo avrebbe consentito di eliminare, almeno in parte, i gravi problemi di disparità territoriale in fatto di soccorso. Seppur ancora bisognose di tempo, le riforme apportate avrebbero finalmente consentito di superare una lunga crisi sofferta non solo dal personale, ma soprattutto dalla popolazione civile, favorita o meno dalla presenza o dall’assenza di una struttura antincendio territoriale.
Purtroppo però di lì a meno di un anno, la macchina organizzativa che da poco aveva cominciato ad entrare nel pieno dell’attività, sarebbe entrata in crisi per l’inizio del secondo conflitto bellico, crisi superata solo per l’enorme esperienza e professionalità degli uomini e al loro senso di sacrificio.
Ma questa è un'altra storia.
La Direzione Generale dei Servizi Antincendi, l’organo centrale del Corpo Nazionale, volle sancire l’importante e storica riforma, con un’imponente manifestazione che si svolse in Piazza di Spagna a Roma il 2 luglio 1939: il 1° Campo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
L’evento, che vide la partecipazione di centinaia di vigili provenienti da tutte le città capoluogo, se opportunamente spogliato del valore autocelebrativo e propagandistico che il regime volle dargli, ebbe il merito di creare un clima di amicizia e di rispetto tra il personale delle diverse realtà territoriali, e non più di competitività e di confronto tra i diversi Corpi, così come avvenne nei concorsi-convegni pompieristici dei decenni precedenti.
In effetti il 2 luglio fu solamente il giorno in cui venne messo in mostra, alla presenza del Duce, dei vari gerarchi e delle massime autorità istituzionali, il grado di organizzazione raggiunto. La cosa veramente importante, al di là di ogni retorica e appesantita necessità di propaganda, furono invece i giorni che precedettero la manifestazione conclusiva, quando durante la vita di campo e durante le esercitazioni ginnico-professionali i vigili ebbero modo di conoscersi veramente, di scambiare esperienze e di abbattere, almeno in parte, le differenze e le diffidenze geografiche.
Ed era la prima volta che questo avveniva.
C’erano state è vero molte altre occasioni: i concorsi-convegni e le grandi calamità come i disastrosi terremoti di Messina del 1908 e di Avezzano del 1915, ma le condizioni erano evidentemente del tutto diverse.
Dunque, per sette giorni 1850 Vigili del Fuoco provenienti da tutte le province d’Italia, comprese le Colonie della Libia, dell’Egeo e dell’Albania lavorarono alacremente tutti insieme per raggiungere quella perfetta forma fisica e preparazione professionale, condizioni indispensabili per una importante dimostrazione professionale come dovette essere quella del 2 luglio.
Hanno recato con sé, da ogni parte della penisola, una baldanza fervidissima, una passione tutta slancio e tenacia ed i loro multiformi attrezzi tutti ingegnosità e perfezione: autocisterne, autoscale, autopompe. (Il Popolo di Roma, 27.06.1939)
Tutto il personale, compresi gli Ufficiali e i Comandanti, venne sistemato in un vasta tendopoli realizzata in località Acqua Cetosa, un campo perfettamente autonomo e dotato di tutti i servizi: sanitario, igienico, elettrico, idrico, di cucina, di posta disimpegnato dalla Milizia Postelegrafonica, di tesoreria affidato al Banco di Napoli e per concludere un Ufficio Stampa.
Una rigida disciplina scandì le giornate dei vigili.
Sveglia alle ore 5.00. Alle 6.00 adunata con alzabandiera alle 6.15. Alle 18.45 con l’ammaina bandiera si concludeva la giornata lavorativa. Alle 19.30 veniva consumato “il secondo rancio” e alle 21.30 tutti a dormire.
I visitatori del campo venivano accolti da un’enorme “M”, in onore del Duce, posizionata al centro dell’ingresso principale.
Entrati nell’accampamento i visitatori si imbattevano in una prima nota evidente del carattere dell’accampamento: uno schieramento di automezzi, di motopompe e di motociclette munite di lancia e manichetta. Mezzi nuovi fiammanti e di recente dotazione ai Corpi, fatti giungere a Roma per l’occasione.
La dimensione del campo era enorme. Si sviluppava dal Viale dei Parioli sino alle sponde del Tevere e l’attività al suo interno ora febbrile, ora tranquilla, era caratterizzata dalla tipica vita del campo militare con reparti in tenuta da ginnastica o a torso nudo impegnati nella preparazione dei saggi ginnici; reparti con le nuove divise impegnati a sfilare con gli automezzi o alle prese con scale e funi al Castello di Manovra, squadre che trasportano materiali, mute che si preparano per il cambio della guardia, gruppi che vengono dalla doccia; assembramenti vicino alle cucine. Le due bande musicali dei Corpi di Milano e Napoli. Oppure tutti insieme schierati alle prove dei canti. E anche momenti di pura goliardia, che erano come lo sono tutt’ora, una costante tra i pompieri.
Finalmente il 2 luglio alla presenza del Duce e di una grande folla di spettatori i Vigili del Fuoco poterono dimostrare il loro grado di addestramento. Sull’arena erano state costruite le sagome di una raffineria di liquidi infiammabili, di un edificio pubblico e di un quartiere cittadino.
Lo scenario edilizio faceva da sfondo allo schieramento dei quattro battaglioni di vigili, inquadrati per la cerimonia iniziale.
La manifestazione prese il via con il passaggio nell’arena dell’imponente colonna del reparto motociclisti, delle autopompe, delle autoscale e degli altri automezzi da intervento.
Subito dopo centinaia di uomini a torso nudo, così come veniva evidenziato dai giornali del tempo, diedero vita alle evoluzioni ginniche con scale, quelle in legno denominate “Scala all’Italiana”, diventate poi con l’ausilio di lunghe funi Scale Controventate e Scale Romane, manovrate da un alto numero di vigili, tutti nelle nuove divise color caki, di cui il Corpo da poco era stato dotato.
Le scale, tenute verticalmente senza alcun appoggio se non quello della base, venivano sorrette in stabile equilibrio dai “venti”, le funi incrociate e sostenute da vigili, attenti ad ogni minima variazione dell’assetto verticale. I vigili giunti alla sommità in segno di saluto fecero partire una scarica a salve di moschetteria.
Contemporaneamente il Castello di Manovra veniva preso “d’assalto” con la scalata ai vari ordini delle finestre di oltre ottanta vigili muniti di scale a ganci, sulle quali compirono degli straordinari esercizi, resi ancora più suggestivi dall’alto numero dei partecipanti.
Al termine delle applauditissime evoluzioni ginnico-professionali, gli altoparlanti diffusero l’allarme simulato di un attacco aereo, subito seguito dal sorvolo di cinque aerei bombardieri.
La simulazione, quasi a triste premonizione di quello che sarebbe accaduto alcuni mesi dopo sulle città italiane e sulla stessa Roma, proseguiva con il bombardamento del villaggio finto, verso il quale subito dopo si recarono numerose squadre di soccorso per il salvataggio delle vittime e lo spegnimento degli edifici in fiamme.
Nella caligine della sera che scendeva, tra gli scoppi, o delle vampate che avviluppavano le costruzioni in un simulacro di rovina, la folla di tutta Roma ha visto muoversi, quasi in dissolvenza, le figure dei Vigili del Fuoco; e nessun dubbio che se la realtà dovesse prendere il posto della finzione, noi vedremo questi saldi uomini scagliarsi contro il pericolo, qualunque esso sia, con lo stesso animo e la stessa superba dedizione di cui ieri hanno dato solenne prova. (Il Litorale, Roma 27.06.1939).
Parole profetiche quelle de “Il Litorale” perché al di là della retorica giornalistica dell’articolo, quelli stessi pompieri esattamente un anno dopo, dal 12 giugno del 1940, avrebbero davvero dato prova delle loro capacità professionali, su uno scenario ben diverso da quello di Piazza di Siena e … tremendamente più vero.