Torino, 13 luglio 1943.
Tratto da: Michele Sforza, La città sotto il fuoco della guerra, U. Allemandi & C., Torino 1998.
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In Sicilia l’occupazione da parte degli alleati non conosceva ostacoli, il 12 luglio fu presa Siracusa, Licata, Gela e molti altri centri minori.
Il destino di Torino era legato all’andamento della risalita degli alleati nell’isola. Secondo i piani britannici un grosso centro del nord avrebbe dovuto strategicamente fare da contraltare all’avanzata. L’intenzione era di colpire l’importante nodo ferroviario di Bologna, dove transitavano il grosso degli approvvigionamenti militari verso il sud, ma per l’eccessiva distanza dalle basi aeree dei bombardieri, la scelta cadde su Torino. Ed è proprio su questa città che il Bomber Command volle concentrare il più grosso bombardamento sino ad allora mai compiuto in Italia. Ancora un doloroso primato per Torino. Il bombardamento iniziò poco prima dell’1.30, per terminare alle 2.45 del 13 luglio, il ventitreesimo in ordine numerico. I piani prestabiliti furono rispettati. L’incursione fu effettivamente la più terribile mai avvenuta prima di allora, sia per il numero delle vittime, tutte sorprese nel sonno perché le sirene antiaeree praticamente non suonarono, sia per il tonnellaggio delle bombe sganciate. Oltre 250 Lancaster decollati dalle basi del sud della Gran Bretagna, lanciarono 413 bombe dirompenti più alcune decine di migliaia di mezzi incendiari, per un totale di 763 tonnellate. Otto le bombe da 8000 libbre e ben 203 da 4000(12). Gli aerei si soffermarono su Torino per ben 70 minuti, al termine, e nei giorni successivi per le gravi ferite subite, i morti furono 792, i feriti 914. Nulla venne risparmiato, gli ordigni cadevano in ogni dove, il clangore delle bombe, il fragore delle esplosioni e il bagliore degli incendi venne distintamente avvertito in un raggio di molte decine di chilometri. La confusione che si creò in città era indicibile. La scena che si presentò ai sopravvissuti e alle forze soccorritrici era impressionante, resa ancora più drammatica dall'apocalitticità degli incendi che a centinaia perdurarono per una decina di giorni. Il fumo acre prodotto dalla combustione dei materiali più vari, rese ancora più difficoltosa l'opera dei soccorritori che, noncuranti dell'imperversare dell'offesa aerea, generosamente già sopraggiungevano da Vercelli, Alessandria, Novara, Asti, Cuneo, Aosta, pronti a dare manforte ai colleghi di Torino che infaticabilmente operavano sugli incendi che per giorni sconvolsero la città, e sui palazzi sventrati i quali a centinaia custodirono per molti giorni i corpi straziati della gente. Gli interventi di soccorso dichiarati furono circa 1100. L’incursione risultò molto efficace, tanto che la concentrazione delle bombe, cadute prevalentemente nella parte nord-est della città, saturò intere zone provocando un unico immenso cratere. Non ci fu quartiere che non ebbe una casa, un palazzo colpito. Ma fu sul quadrilatero compreso tra corso Valdocco, corso Vittorio Emanuele, il fiume Po e corso Novara, che cadde la maggiore quantità di materiale esplosivo. Qui ebbero luogo ben 54 gravi crolli di edifici con vittime, su un totale di 58 sofferti dall’intera città. Le vittime recuperate dai vigili del fuoco furono 521 e 85 feriti. Nel quadrilatero in esame i morti recuperati furono ben 516. Qui nulla fu risparmiato di fronte alla tremenda ondata distruttiva. Notevoli i danni al patrimonio storico-artistico: Palazzo Reale, Palazzo Chiablese, Palazzo Lascaris, Palazzo Ducale, Piazza Castello, l’Armeria Reale, la Regia Università di via Po, la Biblioteca Nazionale, Piazza San Carlo, via Roma, il municipio e persino il cimitero generale. Molte le scuole tra cui gli Istituti Tecnici «Sommeiller» e «Principi di Piemonte», le scuole «T. Tasso», «Parini» e «Valperga»; le industrie e gli uffici pubblici e privati come la Fiat Mirafiori, la CEAT, le Officine Savigliano, la SNIA Viscosa, la GFT, l'industria farmaceutica Schiapparelli, la Lenci, la Wamar, la Manifattura Tabacchi, la Paracchi, la Società Italiana Gas, l’Azienda Elettrica Municipale, il Gallettificio Militare, l'Opificio Militare, il Distretto Militare, l'Accademia di Artiglieria, l’Archivio di Stato, la STIPEL, gli Uffici Annonari, l'Archivio Notarile, la Prefettura, la Banca d'Italia, il Banco di Sicilia, le stazioni Dora e Ciriè/Lanzo. Ancora chiese e istituti religiosi: chiesa del Sacro Cuore di Maria, di San Domenico, di San Gioachino, della Trinità, della Madonna della Pace, del Corpus Domini, l'Istituto San Giuseppe, delle Rosine, la Curia Arcivescovile e la Casa della Divina Provvidenza «Cottolengo». Caserme tra cui quella centrale dei vigili del fuoco che subì ingenti danni. Teatri e cinema: teatro Carignano e Alfieri, cinema Ideal e Fortino. case di cura e ospedali come il Cottolengo dove perirono cinque degenti, e l'Ospizio di Mendicità. Ma il danno maggiore fu sofferto dalle case di civile abitazione, sia come perdita di vite umane sia come patrimonio edilizio distrutto. Nelle sole vie attigue al corso Regio Parco, una zona circoscritta in alcune centinaia di metri, perirono circa 250 persone. Al civico 26 dello stesso corso tra le macerie di un rifugio, centrato in pieno da una delle grosse bombe, furono ritrovati i resti di 67 vittime tra donne, bambini e uomini. Una di queste, la piccola Maria Vernei aveva soli nove mesi. In Via Pisa 18 perirono altre 51 persone, l'ultima delle quali venne ritrovata solamente il 27 agosto, dopo che sulla città passarono altre tre gravissime incursioni. In Corso Regina Margherita 110, dove vi furono 25 vittime, l’ultima salma venne ritrovata il 3 settembre. Al conteggio vanno aggiunte ancora quattro vittime avute tra le squadre di soccorso. Si tratta del vigile del fuoco Domenico Morello del Comando di Aosta in rinforzo a Torino, deceduto alle ore 16 del 14 luglio, a seguito del crollo di una casa in Via Po 51, mentre con la sua squadra era impegnato al soccorso di una vittima, e di tre artificieri: il colonnello Picciotti, il sergente Tullio e il caporale Boni, morti mentre tentavano di disinnescare una bomba inesplosa tra le macerie di via Napione 7. Gli sforzi delle squadre di soccorso per fronteggiare la grave situazione erano enormi. Le difficoltà si moltiplicavano ancora di più per la carenza di uomini, mezzi, attrezzature, acqua. In molti verbali i responsabili delle squadre non mancavano di evidenziare la difficile situazione, e il limite che questa poneva nella risoluzione degli interventi. Gli uomini lavoravano incessantemente per trenta/quaranta ore senza mai fermarsi e né chiedere il cambio. |