La 23° Brigata SAP "Pensiero Stringa" dei Vigili del Fuoco di Torino.
di Michele Sforza
6 maggio 1945. Il gruppo dirigente della XXIII Brigata partigiana dei vigili del fuoco
6 maggio 1945. Il gruppo dirigente della XXIII Brigata partigiana dei vigili del fuoco
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Fin dal settembre 1943 diversi elementi dell’83° Corpo Vigili del Fuoco di Torino avevano svolta opera di propaganda, di organizzazione e di collaborazione coi Partigiani delle montagne piemontesi. Ai primi di giugno del 1944 tali elementi diedero un carattere più spiccatamente militare alla loro primitiva organizzazione patriottica, tant’è che nel successivo agosto portò alla costituzione di una intera brigata SAP, intitolata a “Pensiero Stringa” un glorioso vigile partigiano, caduto in combattimento contro i nazi-fascisti il 5 luglio, alle «Basse di Stura», allora estrema periferia a nord della città nei pressi del torrente Stura. In servizio al distaccamento del Martinetto, venne smobilitato il 10 agosto 1943 per chiamata alle armi. Si aggregò invece alla 105° Brigata Garibaldi «Carlo Pisacane», che operava nella zona di Luserna San Giovanni.
La Brigata “Pensiero Stringa” fu quindi tra le prime brigate sappiste a formarsi sul territorio cittadino. Forte della determinazione dei suoi organizzatori e dei componenti che seppero sfruttare al meglio le enormi risorse del Comando dei Vigili del Fuoco, in breve si affermò come uno dei più agguerriti gruppi di partigiani non solo sul territorio cittadino. I sappisti della XXIII Brigata Garibaldina “Pensiero Stringa” lavoravano incessantemente in due distinte direzioni: danneggiare l’organizzazione nazifascista e supportare la lotta dei partigiani foranei. La capacità operativa della brigata aveva raggiunto degli ottimi livelli, tanto da essere in grado di maneggiare mine ed esplosivo, utilizzato in gran quantità per il sabotaggio di baraccamenti militari, centrali e linee elettriche ad alta tensione. L’azione della brigata fu anche volta al trasferimento verso luoghi sicuri di prigionieri alleati, di ebrei, la consegna di dispacci e posta indirizzata alle formazioni partigiane di montagna. La brigata si formò in un preciso momento della storia cittadina. Per molti degli irrequieti pompieri di Torino, all’indomani dell’8 settembre 1943, giorno dell’annuncio della firma dell’armistizio con gli alleati, fu un fatto del tutto naturale e spontaneo schierarsi con l’emergente movimento di resistenza, e diventarne con il trascorrere dei mesi uno dei maggiori punti di riferimento. Già da qualche tempo covava in loro un forte sentimento di ostilità verso il regime e i tedeschi non ancora in veste di occupanti; un’avversione che proruppe con i tragici fatti dell’Opificio Militare di Torino del 10 settembre 1943. La struttura, che si trova tutt’ora in corso Regina Margherita 16, venne precipitosamente abbandonata dai militari di presidio, nelle ore precedenti l’arrivo dei tedeschi. Nella totale confusione di quei giorni, molti torinesi, spinti comprensibilmente dagli stenti e dalle difficoltà di anni di rinunce, cercavano di trafugare dai magazzini militari e dalle caserme abbandonate, cibo, legna, stoffa, scarpe, coperte; beni utili per prepararsi a un inverno che si annunciava duro. Un flusso di gente che inizialmente portava via qualcosa, in maniera spontanea e discreta. Con il passare delle ore il flusso discreto divenne una massa enorme e organizzata. L’opificio era ancora provvisto di quei generi indispensabili quanto preziosissimi per gli abitanti del quartiere. Quel giorno, erano circa le 12.00, una colonna militare germanica, appena giunta in città, senza alcuna esitazione né pietà, mitragliò la popolazione civile intenta al saccheggio dei depositi. Venne compiuta una vera strage. Al termine della sparatoria ben dodici persone, la maggioranza donne, rimasero a terre uccise dal piombo nazista. Così si presentò a Torino l’occupante nazista. I vigili vennero chiamati per estinguere l’incendio appiccato dagli stessi nazisti, «e dopo un’ora circa di lavoro l’incendio era completamente spento, e trattandosi che nel frattempo i militi della croce rossa aveva trasportato via i feriti e i morti che si trovavano sulla strada lasciando le chiazze di sangue sul terreno, allora io colla stessa condotta ho fatto lavare in modo da non lasciare più tracce». Lì tra le donne morte per mano nazista si accese, anche in quegli elementi tra i pompieri che fino allora avevano mantenuto un atteggiamento di distanza dalla politica, un forte odio verso l’occupante e verso i loro sostenitori fascisti. [...] dietro i carri armati c’erano tre o quattro camion scassatissimi della Wermacht carichi di S.S. che venivano giù passando in corso Regina Margherita davanti all’Opificio Militare, ... per salvare il salvabile, ... per salvare il materiale che non andasse in mano ai tedeschi [...] Visto che rubacchiavano, quei bastardi di tedeschi tirano giù le mitragliatrici e hanno ammazzato dieci o dodici (mogli, donne ... della popolazione), le hanno ammazzate lì sul posto. Poi mandano a chiamare i pompieri perché vadano a ritirare i cadaveri, perché noi facevamo quel lavoro lì. Porco Dio, ho detto io con il Capo Distaccamento Odassio, ma dobbiamo fare quella fine lì, davanti a quei bastardi, ah, tra parentesi vengono da noi e portano via una vettura, un 1100 nuovo che avevamo lì e sono andati. [...] Ecco dopo quell’affare lì noi abbiamo cominciato ad arrabbiarci ... e allora da quel momento lì, qualcuno è andato in montagna. Essendo già sufficientemente politicizzati e antifascisti, per molti vigili la scelta di campo non fu un fatto casuale, fu anzi la conclusione «naturale» di un processo critico affermatosi e consolidatosi con la conoscenza dei drammi umani che si verificarono durante le incursioni. Pur essendo sottoposti ad una disciplina militare, dopo l’8 settembre ovunque i pompieri rimasero al loro posto, a differenza dell’esercito che lasciato senza direttive si sbandò. La forte avversione si acuì anche con il rientro nel Corpo di quei vigili del fuoco impegnati sui vari fronti di guerra. Questi narrarono non solo le sofferenze della guerra, ma anche il disgusto per il comportamento sleale dei militari tedeschi nei loro confronti sui campi di battaglia. ----------------------------------------------------------------------------- I VIGILI DEL FUOCO DI TORINO CADUTI PER LA LIBERAZIONE
Da aggiungere ancora GIOVANNI BRICCO, morto nel 1968 per le malattie contratte durante la prigionia a Mauthasen. Da ricordare ancora GIOVANNI MANTELLI, morto nel 2011, deportato nel campo di concentramento di Gaggenau in Germania. |