4 maggio 1949.
L'incidente del "Grande Toro".
Carlo Scrigna al centro, insieme al presidente del Circolo Soci del Torino Calcio, in una cerimonia commemorativa del 2013
Un omaggio degli atleti VVF al monumento al Grande Torino, ai piedi della Basilica di Superga nel 1961.
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La tragedia di Superga avvenne il 4 maggio 1949, alle ore 17.03.
Quel giorno una fitta coltre di nebbia avvolgeva la città di Torino e la collina di Superga assolutamente non si vedeva. Alle 17.03 il velivolo Fiat G.212 della compagnia aerea ALI, di ritorno da Lisbona, con a bordo l'intera squadra del Grande Torino, più i dirigenti e alcuni giornalisti, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, che sorge sulla sommità della collina torinese, provocando la morte di tutte le trentuno persone a bordo. I vigili del fuoco intervennero immediatamente, pur dovendo affrontare i problemi dovuti alla presenza della nebbia. Purtroppo non poterono fare altro che constatare il decesso dei passeggeri e recuperare ciò che rimaneva dei loro corpi. Riportiamo un breve racconto di Carlo Scrigna, all'epoca giovane vigile del fuoco che intervenne con la sua squadra sul luogo del disastro. (Testimonianza raccolta il 2 marzo 2006) Sono ormai passati molti anni ma rivedo come in un filmato tutto quello che è successo quel giorno. 4 maggio 1949. Era una giornata primaverile con pioggia e nebbia. Già dal mattino tre nostre squadre erano impegnate con barche nella zona di Moncalieri per alluvione e relativi salvataggi, quando verso le 16 arriva al centralino la richiesta per la caduta di un aereo a Superga. Partimmo con l’AP 20 e preceduti dall’AR 1616, raggiunto il piazzale della Basilica e vedendo un fil di fumo sollevarsi dal retro la chiesa, si predisponeva la stesura delle manichette collegandole all’idrante del piazzale. Non fu necessario perché l’autista dell’autoradio, Aimonetto, visibilmente commosso, mi dice: non è necessario ma sono tutti i giocatori del Torino e son tutti morti. Del grande TORINO!!! Li conosceva tutti avendoli visti giocare e applauditi al loro Filadelfia. Ai nostri occhi si presentò uno spettacolo terrificante. L’apparecchio aveva impattato contro il muro posteriore della basilica e la carlinga si era squarciata nella parte inferiore facendo intravedere una confusione di corpi, sedili e bagagli. Dove ora sorge la lapide a ricordo vi erano sparsi i rottami dell’ala sinistra e il carrello con le ruote. Il recupero delle salme fu molto lungo ma aiutandoci con delle travi prelevate da un magazzino di muratori, si poté sollevare una parte della carlinga per estrarre i corpi. Recuperati due paracadute e distesi a terra, mano a mano, si procedeva ad allineare le vittime per poi (sistemarle N.d.R.) su autolettighe giunte per il trasporto all’obitorio. Alcuni corpi erano intoccabili soprattutto Gabetti e Ossola. Il corpo di Maroso era sull’ala destra del velivolo, bruciato e rattrappito. Era ormai notte quando finite le operazioni di recupero delle salme si rientrava in sede senza dire una parola, eravamo tutti commossi. Il riconoscimento dei corpi all’obitorio fu molto lungo perché alcuni furono riconosciuti solo da effetti personali. Mi sono sempre chiesto, senza risposta, del perché di questa sciagura. Bastavano una cinquantina di metri in più, lateralmente o in alto per evitare l’impatto contro la Basilica. |