IMPRONTE NEL TEMPO
  • Home
  • Chi siamo
    • Staff e organismi
    • I nostri partner
    • Contatti
  • La memoria per sempre
    • Albo dei Caduti
    • Storia Comandi
    • Costruttori di memoria
    • Leggi e regolamenti
    • Segni e percorsi della memoria
  • La linea del tempo
  • Multimedia
    • Memorie di carta
    • Racconti in video
    • Racconti in audio
    • Video in rete
    • Le più belle di Mille Storie
    • Quaderni Storia
    • Quaderni Storia - Antincendio
    • Note Storiografiche
    • Progetti editoriali
    • Link siti d'interesse
    • Le tesi di Laurea
    • Buonumore
    • Biblioteca
  • Eventi e news

13 febbraio 1983.
L'incendio del Cinema Statuto.

Memoria di Michele Sforza

Quel maledetto cinema.
La cronaca da tempo aveva spento i riflettori sul terremoto dell'Irpinia e sul terribile incidente di Vermicino. Ma dopo un paio di anni di relativa “piatta”, un nuovo terribile avvenimento scosse la popolazione italiana.
Era il 13 febbraio 1983.
Avvenne il pomeriggio di una strana domenica. Nevicava fitto quel giorno e già dal mattino si ebbero le prime avvisaglie che quella giornata sarebbe stata diversa da tutte le altre. Forse la neve, forse uno strano presentimento che pervadeva molti di noi: quelli del turno "C" della Sede Centrale di Corso Regina Margherita 126, meglio conosciuta come la sede di Porta Palazzo.
Quel mattino a Champoluc, in Val d'Aosta, tre cabine dell'ovovia si sganciarono dall'impianto di risalita e caddero da un'altezza di venti metri. Dieci sciatori morirono sul colpo l'undicesima vittima morì giorni dopo.
La tragica e raccapricciante notizia data dal TG1 delle ore 13.30, incollò davanti al televisore della sala mensa tutto il personale e tutti facemmo gli inevitabili commenti su come potesse essere ancora possibile che ancora si verificassero incidenti del genere.
Quella domenica ero di 22 (la seconda squadra di partenza). Con me che potevo già fregiarmi dell'ambito titolo di vigile anziano - ero in servizio dal 1976 - c'erano Ruggero il capo squadra, Valerio l'autista, Francesco e Livio vigili come me, ma più giovani e Maurizio l'ausiliario.
Per tutto il giorno eravamo stati impegnati in diversi interventi causati da una pesante neve mista a pioggia, che infracidava tutto ciò su cui si posava, in particolare sulle insegne luminose che non disdegnavano di andare in corto circuito e di cominciare a bruciare i circuiti elettrici.
E allora vai con i famosi guanti e stivali "dielettrici" (quale pompiere di quegli anni non li ha conosciuti e usati almeno una volta nella sua carriera), per isolare l'insegna ribelle e metterla finalmente a riposo.
Tutto il giorno così. Fuori e dentro la sede.
In quel lungo pellegrinare per la città a spegnere e isolare insegne, conoscemmo un elettricista che aveva con se in auto la sua attrezzatura e che entusiasta si offrì di darci una mano e qualche attrezzo, migliore dei nostri per fare un lavoro che tanto simpatico non era. Gli interventi furono tanti e l'amicizia si consolidò, tant'è che venne persino a pranzo da noi a vivere un  giorno da pompiere.
Poco dopo le 18,00, al rientro dall'ennesimo intervento, appena entrammo in sede e senza aver ancora messo piede a terra dalla nostra APS 160 targata VF 11644 (oggi gelosamente custodita), il Centralino (oggi Sala Operativa), chiamò urgentemente Ruggero per una comunicazione di intervento da fare. Tutti noi pensammo all'ennesima insegna luminosa.
Non fu così. Ruggero trafelato montò sul 160 e ci disse che in via Cibrario 16-18 vedevano uscire del fumo dal cinema Statuto.
In pochi minuti arrivammo in Piazza Statuto che distava dalla sede poche centinaia di metri, dove ci trovammo avvolti da quella che pensavamo fosse una densa nebbia. Realizzammo velocemente che con la neve non può esserci la nebbia, quindi non poteva che essere fumo. La conferma la aver mo tirando giù i finestrini. Il capo squadra Ruggero immediatamente si attaccò alla radio e avvertì la Centrale che forse la situazione era davvero seria. Urgevano rinforzi e l'autoscala.
Valerio fermò il nostro pesante mezzo proprio davanti al cinema facendosi spazio tra la folla di persone, fatta di curiosi, passanti, ma soprattutto degli spettatori del cinema, tutti assiepati sui marciapiedi e in strada.
Quella domenica davano il film "La capra" con Gérard Depardieu e Pierre Richard. Un film nato sfigato già dalla sua prima uscita. A Napoli due anni prima, la stupidità di qualcuno che voleva saltare la fila per l'ingresso al cinema, causò la morte di due persone schiacciate dalla folla in preda al panico.
Comunque appena messi i piedi a terra q
ualcuno, forse la "maschera" del cinema ci disse che all’interno della sala non si trovava più nessuno, indicando la moltitudine di gente fuori.
L'incendio venne causato da un cortocircuito avvenuto nel corridoio di destra (guardando lo schermo) che immediatamente aggredì le tende che dividevano la platea dal corridoio. La propagazione alle poltrone vicine fu facile. Quasi tutti guadagnarono l'uscita.
Infilammo il naso dentro la sala da una delle porte laterali, quelle che davano sulla via Cibrario, ma una coltre di fumo vischioso, denso e impenetrabile ci accolse malvolentieri, quasi a volerci impedire di entrare.
Indossammo gli autoprotettori e sbattendo ginocchiate ovunque, perché non vedevamo dove mettevamo i piedi, si avanzava senza capire dove ci dirigevamo, io e Livio andammo verso i bagliori che intravedevamo dall'altra parte della sala e operammo per spegnere quelle fiamme che erano piuttosto “vivaci”. Ma spegnevamo qualcosa che non capivamo cosa fosse. Spegnevamo e basta. Non si vedeva un accidente di niente.
Dopo un po’, quando l’incendio era ormai sotto controllo, lasciai i colleghi più giovani alla minuta estinzione e con l'amico e collega Angelo, della squadra 21, quella che poco dopo di noi arrivò per darci man forte, andammo a fare un giro di perlustrazione per verificare che non ci fossero altri focolai di incendio. Ancora le pile non riuscivano a perforare la densa gelatina del fumo che ristagnava e non si decideva a lasciarci il passo. Quindi, continuavamo ad avanzare con difficoltà facendoci strada tra poltrone bruciate e arredi vari. 
Volevamo andare in galleria. Sapevamo che altri colleghi: Enzo, Silvano e altri stavano operando dall'alto per entrare da via Le Chiuse, la parallela di via Cibrario, ma dal basso ancora nessuno aveva fatto un giro di perlustrazione. Finalmente arrivammo nella biglietteria e riuscimmo ad individuare la scala di sinistra che dalla biglietteria portava alla galleria.
Appena fatti i primi scalini, a pochi centimetri dai miei piedi scorsi a terra un fagotto, una strana cosa. Per non cadere e per non calpestare quella cosa informe, mi abbassai per toccarla ma soprattutto per spostarla.
Quella strana cosa era un corpo.
Mi si ghiacciò il sangue!

Puntai la pila un po' più in alto e nel cono fioco della luce ne intravidi un altro e poi ancora uno. 
Non potevo crederci, c’erano delle persone in quella maledetta sala. 
Nella mia maschera urlai angosciato ad Angelo di tornare immediatamente indietro per avvertire gli altri che lì c’erano forse dei morti. Non ne avevo la certezza, ma lo immaginavo.
Il terribile allarme, che mai avremmo voluto dare e che non ci aspettavamo proprio di farlo, era stato dato!
Salii ancora. "Sbarcai" nella galleria. Lo spettacolo, quel poco che si incominciava ad intravedere, era desolante e spettrale. Vedevo muoversi i fiochi fasci luminosi delle pile dei colleghi che intanto riuscirono ad entrare da via Le Chiuse. Mi rincuorai un attimo e mi ripresi dall'angoscia di essere solo in quell'ambiente che ormai sapevo che era intriso di morte. Sempre facendo capolino tra il fumo, scorgemmo delle sagome sedute tra le poltrone fuse e annerite dai residui di quello schifosissimo fumo.
Non era possibile. Degli spettatori erano rimasti seduti in attesa che li cogliesse la morte.
Vedendoli da dietro sembravano tranquilli come se nulla fosse accaduto intorno a loro. Come se la tragedia che si era consumata in quel maledetto cinema non li riguardava.
Fu un secondo tremendo colpo. Trovammo una coppia, mano nella mano, in una struggente quanto tristissima innamorata posa. Un modo per stare insieme, per non lasciarsi nell'attimo che li separava dalla morte.
Non era possibile e né giusto vedere quelle persone sedute, mano nella mano, colte dalla morte così, impotenti e impossibilitati ad una qualunque reazione.
Tutto il resto è noto. Cominciammo ad allineare i primi otto morti sul marciapiedi e man mano che si andava avanti la tragedia assumeva sempre più la dimensione del disastro.
Il magistrato di turno chiese di non allineare i morti sul marciapiede, ma di portarli in una rimessa vicina.
Ma ormai noi della prima squadra giunta nel cinema, eravamo senza più forze fisiche e psicologiche. Eravamo distrutti nel fisico e nell'animo; definitivamente in rovina per quello che avevamo vissuto e visto quel maledetto pomeriggio.
Alle 2.30 di notte finalmente la sala operativa ci impose di rientrare in sede perché avevamo già vissuto i nostri maledetti incubi e lo avremmo fatto ancora per chissà quanto tempo nel rivivere di notte l'incubo di quei corpi inermi.
​Ci venne risparmiato il pietoso lavoro di comporre dentro quella rimessa i corpi di ben sessantaquattro vittime tutte della galleria.
Alcuni si diressero verso il corridoio di destra che non era una via di fuga, ma semplicemente l'accesso ai bagni, dove lì in parecchi trovarono una terribile morte, pigiati e soffocati dal fumo e dal loro stesso peso. Altri, i più numerosi tentarono la fuga dal corridoio sinistro senza farcela. Alcuni di questi poveretti arrivarono a pochi metri dalla salvezza, ma non ce la fecero. Erano quelli che trovammo sulla scala.
L’unico conforto ci arrivò il giorno seguente e fu quello di conoscere personalmente il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, anche lui piangente, che ci dimostrò affetto e vicinanza per il dramma che avevamo vissuto e un giovane magistrato. Una persona squisita e di grande sensibilità umana, che si scusava in mille modi se era costretto a farci delle domande dolorose. Quel magistrato si chiamava Giancarlo Caselli. Da quel giorno ci siamo sempre incontrati e salutati con grande calore.
Quello fu l’intervento che segnò per sempre la mia carriera pompieristica.

Immagini di Enzo Ariu e Michele Sforza.

Location

Cosa dicono i nostri lettori



​Grazie per il vostro impegno, sarà un piacere di buona lettura come dai precedenti quaderni.

Vi ringrazio e mi complimento per il lavoro che svolgete con tanta passione, dedizione nonché professionalità.

Veramente interessante, per me è importante ricordare il nostro passato.

I contenuti sono davvero interessanti. Complimenti.

Grazie. Una miniera di informazioni storiche.

​Molte informazioni davvero utili.

Complimenti, ciò che pubblicate è uno scavo prezioso nello spazio tempo, un documento indagatore e rivelatore. Avete ampliato il perimetro di ricerca delle vostre indagini storiche. Mi aspetto da voi altre piacevoli sorprese. Buon lavoro.
Dario Reteuna.

Bel sito, Grazie.

Contact Us

    Scrivici!

Submit
  • Home
  • Chi siamo
    • Staff e organismi
    • I nostri partner
    • Contatti
  • La memoria per sempre
    • Albo dei Caduti
    • Storia Comandi
    • Costruttori di memoria
    • Leggi e regolamenti
    • Segni e percorsi della memoria
  • La linea del tempo
  • Multimedia
    • Memorie di carta
    • Racconti in video
    • Racconti in audio
    • Video in rete
    • Le più belle di Mille Storie
    • Quaderni Storia
    • Quaderni Storia - Antincendio
    • Note Storiografiche
    • Progetti editoriali
    • Link siti d'interesse
    • Le tesi di Laurea
    • Buonumore
    • Biblioteca
  • Eventi e news