L'incendio della Cappella della Sindone.
Ricordo di Michele Sforza
Venerdì 11 aprile era una serata tranquilla per Torino. Una sera mitigata da un piacevole clima, anche per i 22.3° C della giornata che oramai stava volgendo al termine, tanto che i torinesi già pregustavano di trascorrere fuori porta un fine settimana avvolti da un gradevole tepore primaverile.
Per tale motivo il centro della città alle undici di sera era ancora animato dal via vai di auto e dei tanti torinesi che ancora si attardavano, attratti anche dal fatto che l’indomani, essendo sabato, avrebbero potuto tirare un po’ più a lungo la serata. Ma era anche un altro motivo che teneva ancora ben sveglio il centro. Proprio in quel momento stava terminando una giornata che aveva reso Torino un po’ più internazionale, per via della visita ufficiale del Segretario Generale dell’Onu Kofi Annan e del lungo seguito di importantissime personalità. La cena di gala, che avrebbe concluso i lavori della giornata, si stava ormai consumando nella spettacolare scenografia del Salone degli Svizzeri del Palazzo Reale, luogo ideale per accogliere una diversa “corte” di influenti uomini e donne. I 130 commensali erano ormai quasi tutti via e i camerieri già piroettavano tra tavoli, tra i resti della ricca cena e le stoviglie da sistemare. Da fare tutto in fretta perché l’indomani mattina quell’enorme spazio, grande quasi come un campo di calcio, avrebbe dovuto essere restituito alle folle di turisti. Il Palazzo Reale si trova nel cuore della Torino antica. La sua ombra lambisce il Palazzo Madama, la perfetta sintesi della bimillenaria storia della città. Proprio dietro alle sue spalle, il Duomo dedicato a San Giovanni Battista; poi le Torri Palatine, l’Anfiteatro romano, via Po, Piazza Castello; soprattutto la meravigliosa Cappella della Sacra Sindone, un gioiello barocco di straordinaria bellezza, collegata al Palazzo Reale senza soluzione di continuità attraverso il torrione ovest. Siamo alla fine del ‘600 e i Savoia vollero che il frate/architetto di corte Guarino Guarini, realizzasse un luogo ideale e mistico per custodirvi il sudario con l’impronta del Cristo. Negli anni ’90 del 1900, la cappella, dopo tre secoli di prezioso servizio per la conservazione della Sindone, richiedeva dei profondi lavori di restauro. Lavori che oramai erano terminati con successo, ma non ancora pienamente conclusi poiché i ponteggi ancora avvolgevano la struttura. E fu da quel luogo dal grande valore simbolico, elaborato secondo la teoria dei multipli del numero tre (la Trinità) e delle figure perfette come il cerchio, il triangolo e la stella, che pochi minuti la mezzanotte si levarono alte le prime lingue di fuoco. Precisamente nello spazio di collegamento tra la Cappella e il Palazzo Reale. Fu proprio in quel punto che si scatenò l’inferno e che fece accorrere migliaia di torinesi, per veder sgranare sotto i loro attoniti sguardi, un vero dramma. Qualcuno cominciò a chiamare i Vigili del Fuoco che giunsero in pochissimi minuti, aiutati anche dall’assenza di traffico. Molto presto il fuoco iniziò ad aggredire la Cappella e il tetto del torrione ovest del Palazzo Reale, esso stesso minacciato dall’irruenza del fuoco che ormai sembrava non conoscere ostacoli nella sua avanzata. I pompieri si ritrovarono dinanzi uno spettacolo terrificante e lo sgomento che li attanagliava era palpabile da tagliarsi a fette. Quello non era un incendio qualunque. Stava bruciando la cupola, il prezioso contenitore del simbolo più alto della cristianità. Nel giro di poco tutte le forze disponibili furono mobilitate. Si chiese aiuto persino ai Comandi vicini. Le prime squadre giunte dovettero rapidamente elaborare un piano di attacco, distribuendosi su cinque zone di intervento, tenendo ben presente la priorità assoluta: portare fuori e in salvo, la Sacra Sindone. Per fortuna nel 1993, proprio per i lavori di restauro, l’urna che la conteneva era stata trasferita in una teca provvisoria, sistemata dietro l’altare maggiore del Duomo. Una costosa “scatola” fatta di otto strati di cristallo antiproiettile, che avrebbe dovuto proteggere quel celeberrimo oggetto di culto anche da eventuali atti sconsiderati. Molti uomini furono allora posti proprio all’interno del Duomo per l’attacco diretto all’incendio e per la protezione della Sindone. Altre squadre furono distribuite all’esterno del Duomo in modo tale da non lasciare scoperto alcuno dei lati. In rapida successione giunsero decine e decine di vigili, raggiungendo il massimo numerico intorno all’una di notte con ben 181 uomini. Giunsero persino dai Comandi di Milano, Vercelli, Biella, Novara, Asti e Alessandria, che si unirono alle forze di casa. Una forza d’urto umana che portò sullo scenario di intervento ben 14 autopompe, 9 autobotti, 10 autoscale, 1 piattaforma tridimensionale, 3 automezzi aeroportuali e più molti altri automezzi di supporto. Mentre fuori le squadre lottavano per opporre un’efficace azione di contrasto all’avanzata del fuoco, all’interno del Duomo un gruppo di uomini oppose una forza caparbia e incrollabile a protezione della teca. Davanti a loro la cappella diventava un’immensa fornace che divorava il tavolato in legno del ponteggio, portando la temperatura a circa 1000° C, tanto da mettere seriamente a rischio la stabilità dell’edificio. Era una lotta contro il tempo e per il timore che tutto rovinasse, non bastava più solo proteggere la teca raffreddandola con i getti d’acqua, ma bisognava portarla via fisicamente e anche in fretta. Il delicato e millimetrico meccanismo di apertura della teca di cristallo, era stato concepito per essere mosso con cautela e un’accorta liturgia, non già per una fuga di quel genere. Bastò poco per bloccare il delicato gioco, forse per qualche detrito, forse per la non perfetta conoscenza dell’apertura, forse per il concitamento del momento. Non rimase altro che farla crollare sotto i colpi irrispettosi ma salvifici di una pesante mazza, sferrati a turno dai vigili presenti. L’operazione richiese una mezz’ora – un’infinità – poiché la teca stava svolgendo al meglio la sua funzione protettiva e materna, cioè quella di impedire a chicchessia di forzarla. Tuttavia gli otto strati cedevano uno per uno sotto i potenti colpi fino a giungere ad un primo varco nella sua granitica resistenza. Quegli uomini abituati all’azione, alla veemenza professionale anche vigorosa dei propri gesti, prima di toccare la preziosa cassa d’argento che proteggeva il sacro sudario, ebbero un attimo d’incertezza e di grande soggezione, quasi a scusarsi per quella più che giustificata e necessaria violenza che ancora le avrebbero cagionato. Ma ancora per pochi attimi. Fuori dal Duomo il Cardinale Giovanni Saldarini, arcivescovo di Torino e custode pontificio della Sindone, piangente attendeva di ricevere tra le sue mani la reliquia per portarla al sicuro nella Curia Vescovile. Intanto il fuoco continuò a divampare per tutta la notte e solo alle prime luci del mattino si riuscì a considerarlo definitivamente domato. Appresi la notizia al TG del mattino, un sabato, e immediatamente mi precipitai al Comando. Forse avrei potuto essere ancora utile in qualcosa. Afferrai così la macchina fotografica che avevamo sempre pronta in Laboratorio Fotografico e con l’angoscia nel cuore cominciai così uno dei periodi più straordinari della mia vita professionale e non solo. L’immagine che più di altre mi accompagnerà per sempre è la visione dall’alto della cupola diventata un immenso cratere, al cui interno giaceva, ripiegata su se stessa, l’enorme ragnatela di tubi innocenti la cui trama fagocitava e soffocava l’altare ove sino a pochi anni prima giaceva sicura la Sacra Sindone e i fantastici gruppi marmorei calcinati e mutilati dall’urto profanatorio del fuoco. Ricordo anche l’emozione e il grande senso di colpa che provai in quei primi istanti. Calpestare quei frammenti di colonne, di statue, quelle pietre calcinate dal fuoco mi metteva in un profondo stato di disagio; sentivo che stavo oltraggiando quello che fino a poche ore prima era stato uno dei più begli esempi dell’arte barocca. Avevo il pensiero che andava a mille sulle incerte possibilità di poter godere ancora, in un prossimo futuro, di quella bellezza profanata. Da quel momento trascorsi oltre un mese sulla cupola del Guarini – diventato cantiere sperimentale per noi vigili del fuoco – per documentare fotograficamente le diverse fasi di messa in sicurezza del sacro edificio. Un mese che mi permise di essere vicini ai colleghi del N.S.S. (Nucleo Soccorsi Speciali diventati poi S.A.F. con la riorganizzazione del settore), apprezzandone la loro straordinaria capacità tecnica e dedizione professionale, che consentì la realizzazione di una serie di interventi specialistici non convenzionali per quanto riguarda l’ordinaria tecnica cantieristica. Quel mese mi permise anche di conoscere gli angoli nascosti del Duomo e della bellissima Cupola; stupefacenti e sconosciuti ai più. E non solo a me. L’incendio permise infatti di capire quello che è stato definito lo «scherzo» di Guarini e cioè che quello che si vede non è la verità. La cupola suscita meraviglia da oltre 300 anni perché pare sospesa nel vuoto, gli archi e le colonne sembrano poggianti sul nulla, ma è un’illusione. Guarini, un progettista geniale e trasgressivo seppe nascondere, camuffare i pilastri e gli archi veri; ma l’ha fatto veramente bene perché nessuno per ben tre secoli è riuscito a capirlo. Solo l’incendio, obtorto collo, ha permesso di capire esattamente come siano stati piazzati i diversi elementi architettonici. Di solito gli edifici sono fatti di colonne e muri pieni e si sa come funzionano, ma qui è tutto sfasato. É strabiliante, perché se guardiamo le cose da fuori sembra che tutti i pesi vadano a scaricare in punti vuoti, ma non è così. Guarini doveva costruire una struttura che fosse più alta della cupola del Duomo e ha dovuto inventare, anche per questa ragione, un congegno di archi incrociati che stanno all’interno della muratura per consentire di alzarsi. Costruire su fondamenta così deboli, poggiando la Cappella su un edificio, era un lavoro arduo. La cupola traforata è alleggerita dalle sottili nervature del sistema di corone di archetti poggianti gli uni sugli altri. L'architetto teatino si ispirò alla tradizione costruttiva gotica, e per realizzare quelle sue immagini geometriche, non si è fatto scrupolo di bendarle, allacciarle e tenerle insieme con catene e quant’altro, per contenerne le imprevedibili spinte. Tutto questo è stato alla base delle difficoltà incontrate dagli architetti/ingegneri per la messa in sicurezza post incendio e per il suo successivo recupero/restauro. Questo è lo «scherzo» di Guarini. Il 17 maggio 1997 terminarono le difficili operazioni di messa in sicurezza e il Comando consegnò simbolicamente il cantiere all’allora Sindaco di Torino, prof. Valentino Castellani, “premiato” con un giro sulla piattaforma di servizio, sospeso a oltre 100 metri di altezza, quella stessa piattaforma che ci vide penzoloni in aria per settimane a portare materiali e a scrutare ogni minimo segno di avanzamento dei lavori. Eravamo fieri del lavoro fatto e felici di aver contribuito, insieme alla Soprintendenza ai Beni Artistici e Culturali e al Politecnico di Torino, alla tenuta in piedi del prezioso edificio. La Cupola di Guarino Guarini era salva! Da quel giorno iniziò per i torinesi e non solo, il continuo pellegrinaggio con il naso all’insù con la speranza di vederla risorta un giorno. In questi anni come vigili del fuoco non siamo stati a guardare. Terminata l’opera di messa in sicurezza la nostra attività è stata incessante al fine di sensibilizzare la pubblica opinione sui temi della sicurezza sui cantieri di restauro dei beni architettonici. Inoltre nel giugno del 1997, poi nell’aprile del 2007 ed infine nel maggio del 2017, grazie all’attivismo del Comando e delle Associazioni di categoria (Associazione Per la Storia dei VVF e Pompieri Senza Frontiere), sono stati organizzati, con l’apporto fondamentale dell’Orchestra a Fiati dei Pompieri di Torino, tre concerti all’interno del Duomo per favorire il restauro e per ricordare la triste data dell’incendio. Dopo ventuno anni i torinesi ricevettero il meraviglioso regalo di poter ammirare, non più solo dall’esterno, la stupenda architettura di uno dei più straordinari monumenti barocchi del mondo. Era il 27 settembre del 2018. |
Foto di: Francesco d'Introna (fasi incendio) e Michele Sforza (fasi messa in sicurezza)