Tra mito e realtà. Carlo Galimberti
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…a mio figlio, Niccolò, perché attraverso figure come quelle del suo bisnonno possa capire quanto i valori dello sport e quelli umani debbano correre sullo stesso binario per poter essere dei veri campioni affinché l’eroismo di un nonno speciale possa continuare a vivere nella nostra memoria e nei nostri cuori (Alberto Fiocchi, nipote di Carlo Galimberti).
L’ultimo evento in memoria di mio nonno a cui ho partecipato è stato esattamente due anni fa, nel luglio 2018, quando in occasione dei Campionati Europei Giovanili di pesistica, in collaborazione con la F.I.P.E. è stata allestita presso il Crowne Plaza Hotel di San Donato Milanese, la mostra fotografica itinerante “Carlo Galimberti: l’uomo, il pompiere, l’atleta”.
Questo percorso è stato curato da mia moglie insieme a un gruppo di Vigili del Fuoco Permanenti del Comando Provinciale di Milano appassionati di ricerca storica coordinati dal Direttore Ginnico Sportivo Dott. Andrea Vivian. Attraverso l’esposizione di una raccolta di fotografie, delle sue medaglie olimpiche e di alcuni cimeli storici a lui appartenuti, la mostra ripercorre le tappe principali della sua vita personale, sportiva e pompieristica. Io sono cresciuto tra questi suoi pochi oggetti tramandati fino a me: le sue medaglie, dalla prima conquistata a 12 anni vincendo una gara podistica fra le milizie del Comune tenutasi a Milano nel 1907, a quelle Olimpiche di Parigi del 1924, di Amsterdam e di Los Angeles, il suo libricino degli appunti “pompieristici” scritto in bella calligrafia e quelle strane foto in bianco e nero dove era sempre ritratto con lo sguardo serio, che viste con gli occhi di bambino, quasi mi intimorivano ma che in realtà mi facevano fantasticare e inventare avvincenti storie di eroi dove lui era il protagonista. Ho sempre fatto tesoro dei pochi racconti familiari, soprattutto di mia nonna, quando mi parlava delle gesta compiute da questo mio nonno speciale: un nonno che non ho avuto la fortuna di conoscere, ma che non posso negare, sia stato fin da piccolo il mio eroe preferito. Quello che più mi ha colpito durante la settimana dei Campionati Europei Giovanili è stato vedere come tanti giovani atleti, provenienti da diversi stati, visitassero con entusiasmo la mostra appassionandosi alla storia di questo piccolo uomo dal fisico statuario e dallo sguardo buono, mentre molti dei loro allenatori, malgrado il nonno sia stato un campione di un tempo ormai lontano, conoscessero già le sue gesta. Nonno Carlo, “Carlito” come lo chiamavano i familiari e gli amici, nasce a Rosario Santa Fè il 2 agosto 1894 da genitori italiani emigrati in Argentina in cerca di fortuna nella seconda metà dell’800. Terzo di sei fratelli a tre anni torna in Italia in quanto si ammala gravemente suo nonno e il padre deve così prendersi cura della famiglia d'origine e della cascina di Ospiate di Bollate, frazione del piccolo comune rurale di Bollate, paese della provincia di Milano di cui è originaria la famiglia Galimberti. Qui Carlo frequenterà le scuole elementari con impegno e dedizione verso lo studio ma, dopo la licenza elementare, causa la morte del padre non potrà continuare gli studi e si dedicherà, accudito dalla madre e dalla nonna, a coltivare la terra, unico sostentamento economico della famiglia. Questo periodo della sua giovinezza, vissuto tra grandi fatiche e sacrifici, contribuì di sicuro a temprarlo nel carattere e a far nascere in lui un grande senso di responsabilità e di dovere animato da forti valori morali. Raggiunta la maggiore età viene arruolato per il servizio militare come bersagliere e, dopo aver partecipato come combattente alla Prima Guerra Mondiale, grazie al suo esemplare comportamento raggiunse il grado di Sergente Maggiore. Fu in questo periodo che iniziò a mettere alla prova la sua grande forza fisica, la sua abnegazione verso il dovere e il suo coraggio. Prese il brevetto di pilota, che gli permise di coltivare una sua grande passione: quella del volo. A questo proposito la memoria familiare racconta di una trasvolata oceanica che avrebbe fatto, pilotando lui il velivolo, al ritorno dalle olimpiadi di Los Angeles per portare con sé in Italia una Duchessa americana di cui si era invaghito. Durante la Grande Guerra venne abbattuto durante un’azione militare, ma si salvò miracolosamente. Tornerà a casa dal primo conflitto mondiale con una ferita, una croce al merito e il ricordo della partecipazione in prima linea a quattro campagne militari. Si arruolò successivamente, nel 1920, nel Corpo dei Civici Pompieri di Milano. Qui emersero subito le sue doti fisiche di forza e agilità che lo portarono a praticare diversi sport contemporaneamente, primeggiando in ciascuno di essi. Iniziò a gareggiare nella lotta greco-romana e nella ginnastica artistica ma praticò anche il nuoto, l'equitazione, il pugilato e il canottaggio. Carlo fu istruttore della squadra dei palombari di Milano, pioniere di questa specializzazione, incarnata oggi nella figura dei sommozzatori dei vigili del fuoco. Scopre tardi la pesistica ma coglie così tanti successi per l’epoca da essere considerato ancora oggi il più grande pesista italiano, gareggiando fino a 42 anni, alla soglia della sua prematura e tragica morte. Spesso mi chiedo come mai mio nonno, pur eccellendo in tante discipline sportive, abbia scelto proprio il sollevamento pesi quale sport in cui esprimere tutta la sua personalità. Mi piace pensare che lui abbia trovato in questo sport il perfetto equilibrio tra il sacrificio e la forza d’animo con cui ha sempre dovuto affrontare la sua vita e la sua grande forza fisica e morale che lo hanno sempre contraddistinto e che gli hanno permesso, anche nello svolgimento della sua professione, di essere un pompiere coraggioso e pronto ad affrontare il pericolo per salvare vite umane anche a costo di mettere a rischio la propria. A quel tempo non esistevano ancora i professionisti dello sport come le Fiamme Rosse di oggi, quindi Carlo, oltre ad essere un atleta in continuo allenamento sportivo fu anche un pompiere effettivo, anzi capo drappello, sempre in prima linea ad affrontare le situazioni più pericolose con coraggio e con la dote della sua eccellente forza fisica. Come riporta la sua scheda matricolare venne elogiato diverse volte dai suoi superiori in occasione di spegnimenti di incendi rilevanti e di rischiosi salvataggi. Uno di questi, di cui ho uno sbiadito ricordo dei racconti di mia nonna, ma del quale poi ho avuto testimonianza leggendo la documentazione custodita presso il Comando Provinciale di via Messina, è stato a favore di una donna che rimase intrappolata in un appartamento al quarto piano di un edificio di Viale Vittorio Veneto 32 a Milano. Qui a seguito di un incendio sviluppatosi al primo piano dello stabile, che aveva reso impraticabile l’unica scala di accesso ai piani sovrastanti a causa dell’invasione di fumi nitrosi negli appartamenti superiori, fu degna di nota l’azione del nonno che quel giorno, come si evince dai documenti, si adoperò instancabile nel salvataggio di tre persone. Si distinse in una manovra ardita e pericolosa compiuta da solo, trasportando sulle sue spalle una donna inferma incapace di reggersi, dal quarto piano al primo per mezzo di scala a ganci e dal primo piano a terra per mezzo della scala Italiana. Così si legge nella lettera scritta due giorni dopo, il 25 febbraio 1924, dal marito della stessa, Cappa Oreste, che ringraziava pubblicamente il capo-drappello per l’azione svolta durante quell’intervento: “…per l’alto senso del dovere col quale ha compiuto il salvataggio della mia signora Emilia Cappa che il giorno 23 corrente sarebbe miseramente perita d’asfissia nell’incendio avvenuto nella sua abitazione in Viale Vittorio Veneto 32 se il detto Vigile entrato dalla finestra dell’appartamento al quarto piano, non l’avesse coraggiosamente portata di peso nella corte a mezzo di scala a ramponi. Quanto è sopra è la succinta esposizione di un solo valoroso atto nella serie di molti altri simili compiuti quel giorno dal glorioso Vigile al quale non mancherà per tutta la mia vita la più devota riconoscenza. In fede. Cappa Oreste”. Leggere queste righe non può che rendere Carlo Galimberti ai nostri occhi un vero campione di umanità ancora prima di essere un campione nello sport, e questo mi riempie di orgoglio. Il suo palmares sportivo non ha bisogno di presentazioni e vanta alcuni primati: fu il primo vigile del fuoco a vincere una medaglia d’oro olimpica, infatti, tra il 1924 ed il 1932 conquista il gradino più alto del podio a Parigi (nel 1924) e due medaglie d’Argento (Amsterdam 1928 – Los Angeles 1932) alle Olimpiadi, nonché due secondi posti ai Campionati europei del 1930 e 1931. Stabilisce diversi primati mondiali: basti ricordare quelli di distensione a due braccia, durante i Giochi Olimpici del 1924 (97 kg) e del 1928 (105 kg) e quello di slancio a due braccia (127kg), durante i Giochi del 1924. Dal 1921 al 1939 vince anche 18 titoli nazionali consecutivi, 13 nei medi e 5 nei medio-massimi record tutt’oggi imbattuto. Alle Olimpiadi di Parigi del 1924, l'Italia conquista con lui la prima medaglia d'oro nei pesi medi. Scrive il Rapporto ufficiale dell'VIII Olimpiade sul nonno già trentenne: «Il magnifico atleta italiano sconfisse largamente ogni avversario, suscitando in tutti profonda ammirazione, tanto per la maschia energia, quanto per la ferrea volontà di cui diede prova». Le gare dell'epoca contemplavano 5 esercizi: strappo e lancio con un braccio, distensione, strappo e lancio con due braccia. Carlo trionfa nei medi (su 25 concorrenti) con un totale di 492 kg, superando di ben 37,5 kg il secondo classificato, l'estone Alfred Neuland. Quattro anni più tardi, nel 1928, all'Olimpiade di Amsterdam, ha l'onore di sfilare in testa degli Azzurri con la bandiera italiana, unico atleta dell’atletica pesante ad oggi ad essere stato porta bandiera olimpico. Aboliti lo strappo e lo slancio con un solo braccio, nei tre esercizi con due braccia, il nonno solleverà 332 kg, e verrà sconfitto dal francese Roger François per appena 2,5 kg. Dopo essersi classificato secondo ai Campionati europei del 1930 (Monaco) e del 1931 (Lussemburgo), alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 è battuto per 5 kg dal fortissimo tedesco Rudolf Ismair (345 kg contro 340). Guardando la foto che lo ritrae sul piroscafo Conte Biancamano mentre è in viaggio con gli azzurri verso Los Angeles mi ha sempre affascinato pensare come possa essere stata intensa la sua vita per quell’epoca fra viaggi, podi, cerimonie, impegni istituzionali e di come lui sia riuscito, malgrado i successi sportivi che gli hanno dato fama mondiale, a rimanere un uomo semplice. Un olimpionico, un primatista mondiale, ma anche un marito, un padre, un pompiere che è riuscito a mantenere un equilibrio saldo tra il successo e la sua vita personale fatta di poche cose semplici: la sua famiglia, i suoi amici e la passione per il suo lavoro. Lo vedo nei filmati dell’Istituto Luce mentre sfila con gli altri atleti azzurri davanti alle più alte cariche istituzionali del tempo, impettito nella sua divisa dai pantaloni bianchi stirati in modo impeccabile e la bustina in testa e poco dopo lo ritrovo in una foto sbiadita intento a mangiare pane e salame con la sua squadra in una cascina della campagna lombarda dopo aver spento un incendio. I suoi muscoli potenti proteggevano di sicuro un cuore buono. Qualche anno fa, a Bollate, durante la cerimonia di intitolazione del Palazzetto dello Sport della città a suo nome, un’anziana signora ricurva su sé stessa mi si è avvicinata e ha iniziato timidamente a raccontarmi un episodio che mi ha fatto sorridere, ma nello stesso tempo anche riflettere su quanto il nonno avesse avuto davvero un animo generoso e spontaneo. Questa signora bollatese, figlia di un amico di famiglia, (ricordava la festa a cui assistette da bambina quando tutti i cittadini di bollate si riunirono alla stazione per accogliere il treno che lo riportava a casa da Parigi) mi disse che il “Carlito” al ritorno da Los Angeles, dopo essere stato ricevuto a Palazzo Venezia con tutti gli atleti azzurri, tornò da Roma con una “macchina del caffè” (una vera rarità per il tempo!!) ricevuta in dono come segno di riconoscimento e di come non esitò, incontrando suo padre per strada, a regalargliela. Ci teneva a farmi sapere questo episodio e io, con questo racconto inaspettato e spontaneo, ho aggiunto un altro tassello alla memoria della sua quotidianità. Queste storie semplici, quasi banali, che l’hanno visto protagonista, danno al nonno una dimensione più umana, e ci permettono di ricordarlo anche come uomo oltre che come sportivo indiscusso. Nel novembre 1934, prende parte al Campionato europeo di Genova, il primo disputato in Italia, sfiorando il podio. Nel 1936, alla sua quarta Olimpiade, è settimo nei medi con un totale di 332 kg, non male per un atleta che proprio durante i Giochi di Berlino compie 42 anni. Nonostante l'età, in Italia è sempre imbattibile, tanto che il 28 maggio 1939 vince a Genova il suo ultimo titolo nazionale, il diciottesimo. Poche settimane più tardi, il 10 agosto dello stesso anno, conquista l'ultima medaglia, quella d’Argento al Valor Civile, cadendo eroicamente nell'adempimento del dovere. Aveva appena festeggiato i 45 anni e da pochi mesi era diventato papà per la seconda volta con la nascita di mia mamma Ester Galimberti (il primo figlio, lo zio Italo, era nato nel 1925). Muore all'Ospedale Maggiore di Milano, in seguito alle ustioni riportate nel generoso tentativo di evitare lo scoppio di una caldaia, in via Morozzo della Rocca, dopo 5 giorni di straziante agonia. Con lui, persero la vita altri due vigili del fuoco Aldo Parora e Anselmo Pasi. Possiamo proprio affermare che Carlo Galimberti fu un campione assoluto di sollevamento pesi ma anche un uomo dotato di animo generoso e infinito altruismo e lo dimostrò fino alla fine. Così lo dipinse Sua Eccellenza Alberto Giombini nel discorso alla radio il 18 aprile 1940 quando lo insignì del titolo alla memoria di Maresciallo ad Honorem: ….”Bisognava fermarlo nella corsa verso il pericolo, bisognava trattenerlo dinnanzi alla sfida, alla morte. Il suo fisico di atleta non era soltanto bellezza statuaria, ma una sorgente di forza generosa per i deboli e lo dimostrò in cento episodi rischiosi. Quante vite debbono a lui, a lui solo, la loro esistenza ! “ ….”Lo vidi morente all’Ospedale Maggiore di Milano dopo il tragico scoppio di via Morozzo della Rocca. Lottava spasimando contro la morte come un gigante ferito. Quando gli dissi che bisognava guarire presto perché altrimenti gli avrebbero portato via il Campionato, dischiuse gli occhi gonfi e insanguinati, sorrise e respirando forte cercò di alzare le doloranti braccia bruciate, quelle braccia che avevano sollevato formidabili pesi sulla pedana sportiva. Ebbi l’impressione che volesse sollevare anche in quel momento un grande peso, ma non per portarlo vittoriosamente in alto con le braccia distese al disopra del suo capo, bensì per gettarlo via, lontano da sé, lontano dal suo corpo paurosamente piagato. Ma il peso della morte, l’ultimo per il quale egli tese i suoi muscoli di ferro, lo vinse schiacciandolo per sempre.” Con sette presenze nelle massime competizioni dell'epoca, ben più rare rispetto ad oggi, il nonno si posiziona, con 5 primati mondiali e 16 primati italiani (10 nei pesi medi e 6 nei pesi medio massimi) nella speciale classifica stilata dalla IWF (International Weightlifting Federation) 7° assoluto nella storia della pesistica mondiale di tutti i tempi. Oltre al Gruppo sportivo VVF di Milano, il libro “Carlo Galimberti: l’uomo, il pompiere, l’atleta” edito in occasione del bicentenario dei Vigili del Fuoco del Comando di Milano a lui sono stati dedicati:
A tenerne viva oggi la memoria a livello famigliare, da diversi anni a questa parte, si è dedicata mia moglie, Serenella Scanziani, iscritta negli elenchi dei Vigili del Fuoco Volontari del Comando di Milano, che ha raccolto e catalogato con cura i cimeli, le medaglie, le foto e gli articoli dei giornali dell’epoca. Anche se nipote acquisita, si è appassionata alla storia umana e sportiva del nonno con grande entusiasmo e grazie a questo suo interesse anche in questa occasione è riuscita, attraverso queste righe, a dare voce ai miei pensieri e alle mie emozioni. Un particolare ringraziamento al Prof. Fabrizio Santangelo, Dirigente Superiore, presso l’Ufficio per le attività sportive del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, che con passione e grande disponibilità è sempre una presenza tangibile in questo nostro fare memoria anche curando e aggiornando la pagina sportiva del sito web istituzionale dedicata a Carlo Galimberti. Per questo, a chi leggendo questo articolo si è appassionato alla figura del nonno, rimando alle pagine a lui dedicate sul sito del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco per la visione di tutta la rassegna stampa, fotografica e storica al seguente link: http://www.vigilfuoco.it/sitispeciali/viewPage.asp?s=2&p=8081 Onorare la sua memoria, è sempre, per me e mia moglie, un modo per cercare di far capire ai giovani come dietro una vita di successi sportivi e una medaglia straordinaria, come un Oro Olimpico, ci possa essere una straordinarietà ancora più grande, più universale e più intramontabile: quella di un uomo semplice, che nei quindici anni in cui ha cavalcato la scena mondiale come grande campione, ha cercato in ogni momento di far convivere le sue eccezionali doti sportive con i grandi valori umani e di solidarietà verso gli altri che lo hanno sempre contraddistinto nella sua quotidianità. Proprio per questo forse ancora oggi, a oltre ottant’anni dalla sua morte, possiamo considerare Carlo Galimberti un “vero campione” o forse meglio … un “campione vero”. Alberto Fiocchi |
LA DISGRAZIA del 5 Agosto 1939 - le testimonianze - gli articoli di giornale
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