Domenico Scrigna.
Pompiere-fotografo a Torino.
di Michele Sforza
La fotografia, alla sua nascita, si pose come antagonista alla pittura, tant’è che questa dovette reinventarsi con nuove forme di espressione pittorica. Dal paesaggio urbano e campestre, al ritratto, ai nudi. Ben presto la fotografia sostituì la pittura.
Purtroppo però la fotografia, almeno nella fase iniziale, ignorò, salvo sporadici casi, la catastrofe e i disastri. Tant’è che oggi la memoria fotografica ci restituisce non molto materiale. A quel tempo, come ancora per molti anni dopo, non esisteva una fotografia da cronaca giornalistica. Tuttavia vi sono delle immagini che con forza entrarono nell’immaginario collettivo, decretando in qualche modo l’inizio della fotografia giornalistica. E’ il caso del disastro del dirigibile Hindenburg del 6 maggio 1937, un fatto di cronaca gravissimo quanto spettacolare ampiamente documentato. Pochissimi anni dopo sarebbe stata la Seconda Guerra Mondiale a fornire l’occasione per la definitiva affermazione della fotografia come strumento di cronaca. Come non ricordare i fotografi americani al seguito delle truppe alleate. La loro bravura ci ha dato immagini di grande effetto. Dure, violente, dolorose ma efficacemente dimostrative di cosa era la guerra. Robert Capa uno dei tanti. I Vigili del Fuoco non furono da meno nel documentare i terribili anni di guerra e il loro difficile operato che fu ampiamente documentato dai tanti pompieri-fotografi, che quasi ovunque nelle nostre città, catturarono con l’occhio della macchina da presa, momenti d’intensi avvenimenti spesso tragici, pochi di spensieratezza. Uno di questi fotografi fu Domenico Scrigna, Brigadiere dei Vigili del Fuoco di Torino (Alpignano 24.1.1901, Torino 9.2.1957), autore di una straordinaria raccolta di immagini, oggi gelosamente custodita presso l’Archivio Storico dei Vigili del Fuoco di Torino, che forma il corpus principale dell’intero archivio fotografico. Accompagnato dalla sua inseparabile Leica, con cui produsse dal 1940 al 1945 oltre 5000 scatti, Scrigna ci tramanda un’opera, di straordinaria qualità tecnica e perfettamente conservata, la più esaustiva e ricca oggi esistente sull’argomento, dalla quale percepiamo una realtà cittadina, quella di Torino, piegata ma non vinta dai duri attacchi aerei alleati. Ad osservare attentamente le immagini del primo bombardamento su Torino, quello della notte del 12 giugno 1940, si ha la sensazione che tutto sia finto, irreale, ingannevole. L’assenza di ogni forma umana negli scatti fotografici, è come se la tragedia, il dolore e la morte non siano passati per quei luoghi. Ma a mano a mano che i bombardamenti diventavano sempre più duri, la percezione della realtà muta, diventa più reale perché trasmette sgomento e angoscia. Le fotografie ci mostrano, associate alla drammaticità delle macerie delle case, le sofferenze della gente e dei suoi soccorritori. Come ci mostrano una Torino ovunque sconvolta, nei suoi gangli vitali produttivi, come nella periferia abitativa, in uno scenario reso ancor più spettrale e desolante dagli enormi cumuli di macerie su cui aleggia la presenza della morte. La gente da come si aggira con fare incuriosito tra le rovine delle case, e tra i pompieri al lavoro, non sembra dare molto peso a quanto accade. La postura e il modo elegante con cui tanti tengono ferma al loro fianco la bicicletta, mentre assistono ad un salvataggio o all’estrazione di una vittima, sembra perdere quel valore negativo del “voyeurismo” morboso, nonostante fosse in atto la distruzione della loro città, assumendo al contrario una compostezza di testimoni consapevoli che gli avvenimenti che si sgranavano sotto i loro occhi, erano destinati a lasciare in tutti un segno indelebile, e per questo nulla andava perso. L’abile occhio dello Scrigna che nulla concede alle inutili ricerche del taglio giusto, almeno in quei frangenti, sembra per nulla turbato dagli avvenimenti che lo circondano, anzi con fredda professionalità registra lo sconvolgimento della sua città adottiva. Ma era solo un distacco apparente, professionale. Quello che conosciamo è uno Scrigna impegnato in prima linea anche nella lotta partigiana come uno dei massimi dirigenti della Brigata Garibaldina “Pensiero Stringa”. Di carattere riservato, Scrigna non parlava neanche in famiglia della dura realtà che ogni giorno il suo obiettivo gli rimandava. Il suo ruolo di documentarista, certamente non meno pericoloso degli addetti al soccorso, lo calava forse più di altri nel dramma umano, perché lui il dramma per poterlo fissare alla gelatina della sua pellicola Ferrania, doveva prima viverlo mentalmente. Oggi l’Archivio Storico di Torino custodisce altre centinaia di immagini, sempre di Scrigna, molte delle quali ancora su lastra di vetro. Ma come detto il corpus principale del patrimonio è rappresentato da due bellissimi volumi (56x36,5 cm.), rilegati con coperta di compensato dipinto a mano. I due volumi contengono circa 2500 immagini realizzate dal 12 giugno 1940 al novembre del 1944. Da tempo vi sono degli atti concreti per la valorizzazione di questo patrimonio in gran parte inedito, a cui si cerca dopo anni d’oblio, di rendere il giusto valore di documenti portatori non solo di drammi e dolorose testimonianze, ma anche di speranza e di gioia, come le sue immagini “catturate” ai partigiani e al popolo in festa nei giorni della Liberazione di Torino, per la vittoria sul nazifascismo e per la riconquistata fiducia per un avvenire che tutti si auspicavano migliore. |
Video della presentazione del libro su Domenico Scrigna a Mantova
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