La Resistenza dei Vigili del Fuoco di
Ravenna
Di Andrea Pascoli
|
Ottobre 1944, Ravenna era parte della Repubblica di Salò. La città, occupata dai tedeschi da metà settembre del 1943, aveva subito numerosi e pesantissimi bombardamenti aerei da parte degli anglo-americani. Incursioni aeree che avevano causato decine di morti e ingenti danni agli edifici.
Le armate alleate, proseguendo nella loro avanzata da sud, erano duramente impegnate nel riminese. La repressione nazifascista era feroce: del 25 agosto il massacro di 12 persone a Ponte degli Allocchi, né primo né ultimo di una lunga serie di atrocità perpetrate dai republichini nella Provincia. La Resistenza, numerosa e ben organizzata, era radicata in città e nelle campagne dove trovava aiuti, favoreggiamenti e sostegno. Fulcro, motore e protagonista della lotta Partigiana era la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini”, guidata da Arrigo Boldrini con il nome di battaglia di “Bulow”. La Brigata, compatibilmente con la assoluta clandestinità nella quale si trovava ad operare, constava di un’organizzazione precisa ed efficiente. Il “distaccamento” della 28ª che operava in città e nel forese si chiamava “Terzo Lori” dal nome di un patriota caduto. I Vigili del Fuoco I Vigili del Fuoco di Ravenna, appartenenti al 69° Corpo erano una novantina fra quelli della città e dei distaccamenti di Lugo e di Faenza. Al 20 Settembre 1944 risultavano infatti in forza al Corpo: 3 Ufficiali, 4 Sottufficiali e 88 Vigili. Dal 1941 il Comandante era il geometra Cesare Tassinari. Durante gli anni 1941, 1942 e 1943 i pompieri ravennati erano stati inviati a supporto dei loro colleghi di altre città d’Italia fra le quali Genova, Torino, Milano e Brindisi, città più esposte alle incursioni aeree. Da novembre a dicembre del 1943, ben tre volte i pompieri di Ravenna erano stati inviati a Rimini duramente bombardata. Dalla fine del 1943 ai primi sei mesi del 1944, i pompieri ravennati erano intervenuti più volte anche a supporto dei colleghi di Bologna, Faenza e Lugo, città che avevano subito pesantissimi bombardamenti. Dolorosamente significativo fu l’intervento che essi avevano svolto a Bologna il 25 settembre 1943 recuperando dodici salme da un edificio bombardato. In seguito, soprattutto dopo l’incursione aerea del 29 giugno 1944, i bombardamenti sulla città degli Esarchi assunsero tale frequenza e proporzioni da “costringere” i pompieri ravennati a svolgere la propria opera quasi esclusivamente all’interno della città o nelle sue immediate vicinanze. Il loro impegno nelle opere di soccorso che seguirono i diversi bombardamenti, è attestato dai numerosi encomi conferiti al 69° Corpo dalle autorità locali. Ma qual’era la situazione operativa dei vigili del fuoco di Ravenna sotto le bombe? Esaustiva la descrizione contenuta nel crudo rapporto che il 23 settembre 1944 venne inviato dal Comandante Tassinari all’Ispettore dei Vigili del Fuoco di Bologna, Ing. Piermarini. “In relazione alla vostra richiesta riferisco quanto segue in merito all’attuale situazione di questo Corpo: è necessario premettere che i tre bombardamenti notturni qui avvenuti recentemente con l’impiego di centinaia di quadrimotori hanno distrutto non meno di due terzi della città: l’acqua ed il gas son del tutto mancanti, l’energia elettrica, a voltaggio ridottissimo, è distribuita soltanto in alcuni quartieri. L’offesa aerea nemica è continua per cui la circolazione degli automezzi è divenuta una operazione azzardata e pericolosa. Molti servizi civici sono sospesi. Per ciò che concerne il macchinario, si segnala che quattro automezzi sono attualmente inefficienti per avarie e sinistri riportati in interventi: le necessarie riparazioni non si potranno effettuare sino a quando si saranno trovati i pezzi di ricambio; il servizio comunque si può ugualmente effettuare col restante macchinario. In seguito ai bombardamenti i due magazzini del Corpo, in precedenza decentrati, sono stati colpiti in pieno da bombe dirompenti per cui sono andati distrutti diversi materiali e macchine, fra cui sette pompe a mano, un’autopompa Bianchi fuori uso, raccordi, tuberie varie, oggetti di equipaggiamento e di vestiario, ecc. Pure la Caserma Centrale è semidistrutta. L’opera di questo personale, esplicata nei vari servizi di soccorso, ha riscosso l’incondizionata approvazione di queste Autorità e dell’intera cittadinanza che non hanno mancato di esternare ai vigili la loro più fervida simpatia e riconoscenza. Il morale di questi uomini, pur tanto provati in mille pericoli e durezze di interventi, è elevato. Le difficoltà maggiori che si presentano oggi sono determinate principalmente dalla carenza del carburante, alla provvista del quale si è potuto sopperire con acquisti a prezzi assai elevati e ciò con l’autorizzazione di questo Capo Provincia. Nonostante tutto il Corpo è in condizioni oggi di poter funzionare in pieno. |…| è necessario ricordare che il ministero non ha più effettuato rimborsi dall’Ottobre 1943 ed ha inviato solo mezzo milione da detto mese ad oggi. La Prefettura ha potuto venire incontro finanziaria- mente alle necessità del Corpo effettuando diversi rimborsi di rendiconti di spese di guerra. Peraltro, il tesoriere ha uno scoperto di oltre i due quinti stabiliti.” e proseguì: ”|…| facciamo il possibile ed anche l’impossibile per essere dei bravi Vigili del Fuoco e per riscuotere l’approvazione da parte di tutta la popolazione. Qui è zona del fuoco nel senso più lato della parola; l’offesa aerea non ci da tregua.” Durante le opere di soccorso successive al bombardamento del 24 agosto ’44, il vigile Ezio Rambaldi estrasse da sotto le macerie delle case popolari di via Lanciani il corpo senza vita di sua madre. Furono sempre i pompieri a recuperare e a trasportare al cimitero le salme delle dodici persone trucidate dai fascisti a Ponte Allocchi e lasciate esposte per diversi giorni. Uno dei pompieri, Otello Molducci, fu talmente colpito dallo stato di quei corpi che non riuscì più a mangiare per alcuni giorni. Durante il trasporto, al cimitero, i vigili furono costretti a cercare rifugio in una casa colonica a seguito di un allarme aereo. Il sangue che colava dagli automezzi spaventò il contadino che nulla sapeva di ciò che era successo. A suffragare il notevole valore dell’opera svolta dai pompieri a seguito dei bombardamenti fu significativo il fatto che il Comandante Tassinari il 27 luglio del ‘44 sentisse il dovere di scrivere una nota al Ministero dell’Interno di cui riportiamo uno stralcio: “Questo Corpo, colle proprie unità, sempre è intervenuto nei vari e pericolosi servizi di soccorso, prodigandosi in ogni modo e riscuotendo i sentimenti di viva simpatia da parte della popolazione e delle autorità. Fra difficoltà di ogni genere, principalissima quella della carenza di carburante, queste unità hanno lavorato ininterrottamente per più giorni con senso di abnegazione e sprezzo del pericolo. Questo Comando desidererebbe a scopo di incitamento e di premio, avere a disposizione un fondo speciale allo scopo di elargire, a criterio dello scrivente, premi in denaro ai vigili che si sono dimostrati più saldi nel pericolo e a coloro che hanno svolto, in questa disagiata situa- zione, lavori di particolare simpatia.” Il Ministero il 21 agosto stanziò £ 25.000 per aderire alle motivate richieste di Tassinari. Alle pesanti difficoltà descritte da Tassinari si aggiunsero la necessità di difendere il Corpo dalle pretese dell’esercito d’occupazione tedesco. Il quale si distinse per esempio, con l’arbitraria ed assurda requisizione di automezzi del Corpo come avvenne il 26 giugno del ‘44. Episodio che costrinse la Prefettura di Ravenna ad un intervento scritto presso i comandi germanici nel quale si leggeva: “|…| poiché la restituzione di questi due automezzi è necessaria ed urgente: poiché, come è noto anche a Codesto Comando, i Vigili del Fuoco esplicano un servizio del massimo interesse pubblico, anche ai fini bellici (interventi in caso di incendio, di incursioni aeree, di distruzioni sulle vie di comunicazione) e lo esplicano con esemplare prontezza ed abnegazione. Disorganizzare l’attrezzatura dei Vigili del Fuoco è indebolire un organismo che molto utilmente è intervenuto e interviene spesso a richiesta dei Comandi Germanici sui posti ove è necessaria l’opera del Corpo.” Il comportamento dell’esercito tedesco nei confronti dei pompieri fu confermato, a Ravenna liberata, dal rapporto del Governo Militare alleato, denominato “Survey of Fire Department Located at Ravenna”. In esso si legge una nota di Tassinari che scrisse: “I tedeschi hanno requisito e portato via, oltre a macchine, anche materiali di magazzino (gomme, uniformi, ecc.). |…| le due sole autopompe che erano a Ravenna sono state distrutte dai tedeschi. Per impedire che i tedeschi asportassero tutto il macchinario sono stati nascosti e sepolti automezzi, macchinario vario, motopompe, tubi ecc.” Anche le sedi del Corpo risentirono dello stato di guerra. La prima che risultò essere stata colpita dai bombardamenti fu la casermetta Portuale, che venne danneggiata in modo lieve al tetto ed agli infissi, in seguito alla prima incursione aerea del 30 dicembre 1943. Inoltre, fin dall’autunno 1943 si procedette ad un decentramento delle sedi, degli uomini e dei mezzi onde impedire che l’eventuale bombardamento di un’unica caserma potesse azzerare l’operatività. Nel novembre di quell’anno vennero pertanto requisiti due capannoni, uno in via Canalazzo al civico 42 ed uno in via Savini al civico 21. Quest’ultimo accasermamento divenne la sede del Comando almeno fino al 23 ottobre del ’44, allorquando fu trasferito nei locali del Palazzo Gargantini (oggi palazzo del Credito Roma- gnolo), ove restò anche dopo la fine della guerra finché non venne recuperata la caserma di via Rocca Brancaleone pesantemente danneggiata. Alla sede di via Savini fu affidata: “una sirena a mano come mezzo sussidiario per la diramazione dell’allarme”. Detta sirena venne: “collocata nell’accasermamento e verrà azionata ad ogni allarme a cura del piantone di turno alle camerate, ripetendo sei riprese di suono della durata di 15 secondi ad intervalli di 15 secondi”. Abbiamo notizia indiretta di un altro stabile preso in locazione dall’Amministrazione Provinciale per il Corpo Provinciale, situato in via Tommaso Gulli n. 9, che risultò completamente distrutto, assieme al materiale che conteneva, dal bombardamento del 22 luglio del ’44. La sede centrale di via Rocca Brancaleone, già danneggiata da precedenti bombardamenti e solo piantonata da un vigile, subì pesantissimi danni a seguito dell’incursione del 21 agosto ’44. Nello stesso bombardamento una ventina di abitazioni del personale, attigue alla caserma, risultarono praticamente inutilizzabili poiché distrutte o danneggiate. Il 22 ottobre del 1944 venne costituito il distaccamento “Ghinassa”, dal nome di una località nelle campagne di Punta Marina. Vi furono assegnate tredici famiglie di pompieri, oltre a due autopompe: una FIAT 626 ed una SPA 38. Nell’ordine del giorno della costituzione del distaccamento si precisava che la sede: “avrà mensa propria mentre i viveri verranno prelevati in natura ogni dieci giorni presso il magazzino del Corpo.” La collocazione di questo distaccamento, aveva ufficialmente lo scopo di: “svolgere la propria attività d’istituto nella zona di Punta Marina Porto Fuori.” Nei fatti serviva anche a sottrarre mezzi ed attrezzature dall’interesse dei tedeschi, oltre, come vedremo più avanti, a fungere da base di supporto alle formazioni Partigiane. Il distaccamento della Ghinassa fu soppresso contemporaneamente a quello del Canalazzo il 12 dicembre ’44, a Ravenna liberata da otto giorni. Tutti i mezzi furono allora trasferiti in prossimità della caserma centrale (in Palazzo Gargantini) nei locali dell’ex garage Autoveloce, di proprietà comunale. Anche il Distaccamento dei Vigili del Fuoco di Lugo fu trasferito, poiché danneggiato dai bombardamenti aerei del 2 e 3 luglio ’44, presso alcuni locali del Macello Pubblico: “tali locali sono in località eccentrica per cui offrono sufficiente garanzia di sicurezza”. Stessa sorte subì la sede di Faenza che fu trasferita per ragioni di sicurezza, data la sua vicinanza al complesso ferroviario di quella città, più che per i danni subiti al tetto durante il bombardamento del 3 maggio ’44. Venne collocata in un locale di via del Molino all’Isola di proprietà del dottor Acquaviva. “Il locale in parola adibito a magazzino generale tabacchi, è composto da un vastissimo ambiente a pian terreno nel quale verrà alloggiato il macchinario, e alcuni ambienti al piano superiore in cui potranno essere alloggiati gli uomini. Alla vecchia Caserma rimarranno in permanenza due uomini in servizio di piantoni e telefonisti.” Finita la guerra, nel dicembre del 1945, fu il geometra Lucchetti, divenuto comandante del Corpo, a tracciare un bilancio dell’attività dei pompieri di Ravenna nel quale precisava: “interventi effettuati dal Corpo per cause attinenti allo stato di guerra, incendi, crolli, salvataggi, vari n. 447. Deceduti in servizio per cause attinenti allo stato di guerra n. 3, mutilati n. 2, feriti n. 2.” Due di quei morti furono Ivo Benedetti e Natale Casadio caduti a Brindisi il 21 novembre 1941, perchè colpiti da una bomba durante un’incursione aerea mentre spegnevano un incendio. Un altro vigi- le, Walter Orselli, morì in circostanze analoghe a Bagnacavallo il 2 settembre 1944. I Vigili del Fuoco e la Resistenza La Ravenna del 1944 era molto più circoscritta di quella attuale. Fra la gente, tutti conoscevano praticamente tutti. Le campagne erano immediatamente fuori dal centro e si estendevano libere da insediamenti industriali e artigianali. Le strade, in prevalenza strette e di terra battuta erano percorse soprattutto da carri trainati da cavalli e da biciclette. A parte quelli militari, gli automezzi privati erano pochi e rari. In questo quadro, simile peraltro alla gran parte del resto d’Italia, si era sviluppata la lotta clandestina al nazifascismo. La 28ª Brigata Garibaldi, al comando di “Bulow”, trovava abbondante appoggio, copertura e reclutamento in una zona che si sviluppava dai confini con il ferrarese fino a oltre Cervia. Nel personale fin dal 1942, si sviluppò un operoso nucleo di appoggio alla Resistenza, che per poter agire doveva comunque poter contare sulla solidale omertà dell’intero Corpo. Diverse testimonianze concordano nell’affermare che il comandante Tassinari, fascista convinto, facesse finta di non vedere e non sentire mentre il vicecomandante, geometra Lucchetti, era probabilmente il regista occulto dell’attività antifascista dei pompieri ravennati. Così dall’inverno del 1942 alla primavera successiva i vigili del fuoco si adoperarono, utilizzando un motofurgone cassonato “Guzzi”, per trasportare armi ai Partigiani nel riminese. I pompieri, fino alla Liberazione, sfruttarono la possibilità di movimento derivante dal loro compito istituzionale, mimetizzandosi sotto di esso, sotto i propri automezzi di servizio e sotto le proprie divise. E svolsero così un compito di trasporto di cibo, armi, materiale di propaganda e più in generale di collegamento fra i vari “distaccamenti” della Brigata “Mario Gordini”. Ricordava Angelo Mazzolini, pompiere e Partigiano, quella volta che su un automezzo di servizio trasportavano, nascoste sotto un telone, delle armi. Furono fermati al ponte della Bastia da una pattuglia tedesca. Agevolati dalle proprie divise e dal proprio mezzo, la perquisizione fu evidentemente superficiale e poterono proseguire portando armi ai partigiani. O quella volta che, ricevuta una soffiata da un informatore del P.C.I. all’interno della casa del fascio, corsero a Cervia in piena notte, sempre con un automezzo di servizio, per prelevare l’antifascista professor Ortali e portarlo al sicuro in un posto solo a loro conosciuto. Un pilastro dell’organizzazione clandestina, fondamentale anello di collegamento, smistamento ordini ed organizzazione degli approvvigionamenti fra il comando della 28ª e la sua base, fu Florio Rossi , nome di battaglia “Galvani”. Questi aveva organizzato un “intelligence service” per i partigiani di cui facevano parte anche alcuni vigili. Lo stesso Galvani, per confondere le idee durante le sue frequenti visite al comando della brigata, era solito vestirsi da pompiere. Il distaccamento della Ghinassa, limitrofo ad una zona allagata artificialmente dai tedeschi, operò dal 22 ottobre ’44 con una ventina di vigili. Questi, nottetempo, utilizzando barchini via mare, trasportavano ai partigiani della zona di Casalborsetti-Foce Reno, cibo, armi e materiale. Occorre tener presente che la base del distaccamento “Lori” della 28ª era situata nelle valli fra Porto Corsini e Casalborsetti, sull’isola detta “degli Spinaroni”. Dell’importanza dell’attività dei pompieri, rischiosissima ed assolutamente clandestina, troviamo significativa testimonianza nel “Diario di Bulow” dove il 26 settembre ’44 è annotato: “|…| nella riunione odierna, nella sede della fed.ne Comunista in Casa Savioli, abbiamo discusso delle cariche politiche da proporre al C.L.N. dopo la liberazione, e anche di alcuni collaboratori in corpi civili come quello dei vigili del fuoco: fra gli altri, il comandante dei vigili di Ravenna, capitano Cesare Tassinari, ex gerarca fascista, che collabora attivamente come risulta da precise informazioni. Si tratta di informarlo indirettamente che siamo al corrente dell’attività dei vigili del fuoco per noi molto importante, e qualcuno viene incaricato di esprimergli il nostro apprezzamento.” Il Comitato di Liberazione Nazionale il 17 marzo ’45, a Ravenna liberata ma a guerra ancora in corso, inviò una nota ai pompieri nella quale: “IL COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE rivolge il suo elogio ed esprime a nome di tutti i Partiti e della popolazione civile la più viva riconoscenza al Corpo dei Vigili del Fuoco, il quale ha attivamente collaborato alla lotta antifascista durante il periodo clandestino e soprattutto negli ultimi mesi quando la dominazione nazista era più opprimente e feroce. Il contributo portato dai Vigili del Fuoco alla causa Nazionale seguendo le direttive del C.L.N. e aiutando le formazioni dei Partigiani non potrà essere dimenticato. Fra gli eroici caduti per la libertà della Patria saranno segnati anche i nomi dei Vigili del Fuoco barbaramente massacrati dagli invasori.” Il geometra Lucchetti, subentrato il 14 maggio ’45 a Tassinari alla guida del Comando, riassunse il 12 dicembre dello stesso anno in una nota al Ministero dell’Interno il contributo alla Resistenza dato dai pompieri: “elementi del Corpo erano collegati con le forze partigiane operanti nella zona, ed hanno provveduto al trasporto, con mezzi del Corpo, di viveri, medicinali, armi, munizioni, persone, ecc. N. 2 Vigili del Fuoco che lavoravano attivamente per la lotta di liberazione, sono stati fucilati dai tedeschi”. L’eccidio di Vicolo dei Francesi Il distaccamento dei Vigili del Fuoco della Ghinassa, comandato dal vigile Cirri, fu costituito con i vigili Casadei, Caporali, Beltrami, Vichi, Casanova, Montanari, Mazzavillani, Giorgioni, Chierici, Bertaccini, Rambaldi, Molducci. Ad essi erano unite le rispettive famiglie. La composizione del nucleo dei pompieri assegnati alla Ghinassa, uomini notoriamente schierati a fianco dei partigiani, potrebbe far supporre che rispondesse ad un preciso disegno organizzativo. L’edificio sede del distaccamento, tuttora esistente, era costituito da un grande casone. Al piano superiore, in pochi ma spaziosi stanzoni, erano stati messi più letti matrimoniali a mò di camere da letto collettive per i pompieri e le loro famiglie. Al piano inferiore, oltre alla cucina, c’era un magazzino che ospitava gli automezzi e, ben celate, armi, munizioni ed altro materiale destinato ai partigiani. Attorno al 10 novembre del ’44 furono arrestati dai tedeschi i vigili Belgio Mazzavillani e Antonio Baietti, catturati mentre svolgevano un’azione di supporto alla Resistenza. Dopo pochi giorni riuscirono a fuggire aiutati dal loro stesso carceriere, un mongolo. I mongoli erano ex prigionieri catturati all’esercito russo e trasformati in ausiliari dell’esercito tedesco. Dopo essersi nascosti durante il giorno nelle campagne, a sera i tre raggiunsero alla Ghinassa dove il loro ritorno fu salutato con una grande braciolata. In una casa limitrofa, facente parte della stessa proprietà, avveniva la macellazione delle bestie acquistate per sfamare le numerose famiglie ma soprattutto per preparare la carne da trasportare ai partigiani nelle valli. Quest’attività era principalmente di Ezio Rambaldi, che prima di diventare vigile del fuoco faceva il macellaio. Di notte, attraversando le zone allagate dove ora sorge Lido Adriano o raggiungendo Marina di Ravenna attraverso la pineta, e poi via mare fino a Casalborsetti, i vigili trasportavano il cibo ed il materiale ai partigiani che li attendevano. Si deve considerare che solo per il rifornimento del “Lori” dovevano essere trasportati ogni giorno, sull’isola degli Spinaroni, carne, pane, frutta, acqua potabile, indumenti e medicinali per approvvigionare 700 partigiani. Occorreva quindi organizzare anche una considerevole attività di procacciamento viveri che avveniva, per quanto riguarda i pompieri della Ghinassa, acquistandoli dai contadini delle zone di Punta Marina e Porto Fuori. In questa attività di acquisto di carne erano impegnati verso le 16 del 19 novembre del 1944 i vigili Otello Molducci e Ezio Rambaldi assieme civile Renato Melandri. Molducci, nato nel 1911, era diventato vigile del fuoco dopo essere stato riformato dall’esercito per un problema ad un rene. Rambaldi nato nel 1914 lo diventò il 13 gennaio del ’44. Contattato da Lucchetti di cui era amico, questi gli prefigurò la possibilità, oltre che di avere un lavoro, di potersi muovere agevolmente sotto la mimetizzazione della divisa e quindi di poter svolgere attività partigiana. Renato Melandri, amico di Rambaldi, dopo l’8 settembre del 1943 aveva disertato e in clandestinità si era successivamente unito ai pompieri distaccati nella Ghinassa. I tre, tutti in divisa da pompiere, si recarono presso una casa di contadini di Porto Fuori per acquistare un vitello. Alla Ghinassa ne era rimasto solo un mezzo, troppo poco per le esigenze della Brigata Garibaldi. In tasca avevano una considerevole quantità di denaro, presumibilmente fornita loro dai partigiani proprio per quell’acquisto. Giunsero improvvisamente due soldati tedeschi che con un pretesto affidarono in custodia ai tre le loro biciclette. Più tardi i tedeschi tornarono più numerosi e arrestarono Molducci, Rambaldi e Melandri. Molducci incaricò la contadina della casa di informare le famiglie, che si trovavano alla Ghinassa, di quanto avvenuto. Su questo arresto pesa il sospetto di una spiata o anche della vendetta per la fuga, pochi giorni prima, di Mazzavillani e Baietti. Trasportati a Ravenna, i tre transitarono davanti alla sede del Comando dei pompieri in Piazza del Popolo. All’ingresso del Comando si trovava Angelo Mazzolini, che gridò in dialetto ai propri compagni: “vi han trovato delle armi?”, preoccupazione ovviamente riferita a quelle nascoste nella Ghinassa. I prigionieri, sempre in dialetto per non essere compresi dai tedeschi, risposero negativamente. Furono quindi portati in Vicolo dei Francesi dove si trovava un comando germanico. Avvertite dalla contadina della casa dove era avvenuto l’arresto, le mogli di Molducci, Rambaldi e Melandri si portarono a Ravenna nella mattinata del giorno successivo, il 20 novembre. All’altezza di via Fiume Abbandonato, incrociarono alcuni militi della brigata nera repubblichina con in mano alcuni stivali da pompiere. Pur comprendendo l’agghiacciante presagio che derivava da questo fatto, le tre donne proseguirono prima verso il Comando del Corpo, dove ottennero una risposta piuttosto evasiva dal Comandante Tassinari, poi si recarono al comando tedesco di Vicolo dei Francesi dove fu loro assicurato che i mariti sarebbero stati liberati entro la giornata. I tre uomini erano stati invece fucilati alle prime luci dell’alba di quello stesso 20 novembre 1944. Il comando tedesco era ubicato nella casa della famiglia Bondi. Tutto attorno fino alla circonvallazione S. Gaetanino, erano campi bombardati. Fu un membro della famiglia Bondi a trovare i corpi dei tre martiri. I due pompieri erano all’interno di una buca provocata da una granata mentre Renato Melandri fu ritrovato aggrappato alla recinzione che limitava la proprietà con la S. Gaetanino. La zona dove furono ritrovati i corpi è quella attualmente occupata dal parcheggio della clinica San Francesco. I tre cadaveri furono portati dalla Croce Rossa alla camera mortuaria dell’ospedale allestita in via Nino Bixio. Fu il dottor Campagnoni ad informare la moglie di Molducci che l’atroce sospetto si era trasformato in realtà. Riconobbe il marito dai calzini, tanto devastato era il corpo del marito. Rambaldi era crivellato al ventre e aveva ricevuto un colpo in bocca. Melandri, stranamente, non presentava ferite da colpi di arma da fuoco per cui si parlò fosse stato assassinato con lo schiacciamento della testa. I corpi furono traslati al cimitero provvisorio che era stato allestito in Via Rotta, dove ha attualmente sede l’azienda della nettezza urbana, poiché il cimitero monumentale era impraticabile a causa dei bombardamenti. Ovviamente non fu possibile fare alcuna celebrazione mentre perdurava l’occupazione nazifascista. Esemplare del clima di terrore che si respirava è il modo freddamente stringato con il quale il Comandante Tassinari diede al Corpo la notizia della tragedia. Egli infatti, con un ordine del giorno, il 21 novembre scrisse: “DECESSO DI VIGILI - Sotto la data del 20 corr. vengono perduti di forza i VV.P. Rambaldi Ezio e Molducci Otello perché deceduti.” Il 4 dicembre Ravenna fu finalmente liberata. Il 16 febbraio del ’45 le salme di Molducci, Rambaldi e Melandri vennero esumate con la collaborazione dei pompieri e trasferite alla camera ardente allestita nella Caserma Centrale di Via Rocca Brancaleone. È piuttosto sorprendente, considerando l’entusiastico clima che si respirava in quei mesi post Liberazione, il distacco con il quale Tassinari, con un ordine del giorno del 15 febbraio, comunicò il triste evento, limitandosi a scrivere “come è noto domattina avranno luogo le esumazioni delle salme dei compianti vigili caduti in servizio Molducci Otello e Rambaldi Ezio…”, proseguendo poi dettagliando l’organizzazione della camera ardente e dei funerali. Ben diverso il tono del manifesto affisso dal Comando della 28ª Brigata Garibaldi che dettava: “All’alba del 20 novembre 1944 fuori Porta Serrata, venivano massacrati dai Tedeschi i patrioti: OTELLO MOLDUCCI e EZIO RAMBALDI, Vigili del Fuoco e il civile Renato MELANDRI. Il Comando della 28ª Brigata e i Garibaldini dal fronte, ove combattono strenuamente il nemico, salutano le salme di questi ardenti sostenitori ed assidui collaboratori, che vengono esumate per essere poste in luogo più degno”. Anche i familiari parteciparono la cittadinanza con un manifesto che recava scritto: “Le famiglie Rambaldi, Molducci e Melandri annunciano che le salme dei loro cari Otello, Ezio e Renato, caduti sotto il piombo nazi-fascista all’alba del 20 novembre 1944, in prossimità di Ravenna, sosteranno nella giornata di sabato 17 p.v, alla camera ardente apprestata in Via Rocca Brancaleone per esser traslate domenica 18, ore 10, al Cimitero Monumentale di Ravenna. La mesta cerimonia, che ravviva il dolore nei cuori dei genitori, delle spose, dei figli e dei parenti, rinnoverà nella cittadinanza la memoria su uno dei più esecrabili crimini della furia nemica, invanamente tesa a soffocare il generoso sangue di Romagna”. I funerali, cui non partecipò Tassinari, si svolsero il 18 febbraio. Gino Gatta, primo Sindaco di Ravenna dopo la Liberazione, pronunciò, all’interno della chiesa sconsacrata di Santo Stefano degli Ulivi, che faceva parte della Caserma dei pompieri, l’orazione funebre: PATRIOTI: MOLDUCCI OTELLO, RAMBALDI EZIO, MELANDRI RENATO. Tre mesi fa eravate fra noi in seno alla vostra famiglia, esuberanti di vita, di forza, di coraggio, di speranza e di fede. Il breve periodo della vostra esistenza l’avevate trascorso languendo fra gli stenti e le privazioni, sotto il tallone di un regime di iniquità, di ingiustizia di tirannia e di oppressione; e mentre nel vostro sangue vermiglio ribolliva l’ansia ed il desiderio di affrettare il crollo di tale regime per dare vita ad una nuova società, società basata sulla giustizia sull’amore e sulla fratellanza, mentre avevate appena intravisto schiudersi il bagliore di questa nuova era, con l’arma in pugno siete caduti per la difesa di essa. Son trascorsi quasi tre mesi dal giorno in cui la vostra giovane esistenza fu troncata, ed oggi, mentre siamo riuniti in questo luogo di mestizia per commemorare l’olocausto della vostra vita abbiamo di fronte a noi il vostro volto sereno e sorridente della gioia che arrideva nel vostro cuore nell’attimo in cui siete caduti, gioia e serenità che è privilegio solo di chi sa combattere e morire per una santa nobile causa. Compagni la vostra memoria rimarrà indelebile in tutti i modi. Alle vostre famiglie, assieme alle più vive parole di cordoglio e di conforto, giunga la nostra promessa che la giustizia colpirà inesorabilmente i loro assassini. Da quel triste 20 novembre ’44 solo oggi ci è concesso di commemorare il vostro supremo sacrificio, e la giustizia, fino a ieri messa ai ceppi dalla canaglia prezzolata oggi ha spezzato le catene e con le sue ali librerà purificatrice ed implacabile sulle vostre fosse. In quest’ora il nostro commosso pensiero con parole di conforto alle vostre famiglie va pure a tutti i nostri compagni travolti dal turbine di questa guerra orribile e disastrosa. PATRIOTI MOLDUCCI OTELLO, RAMBALDI EZIO, MELANDRI RENATO Voi che avete pagato con l’olocausto della vostra giovane vita la fede intensa dei destini della Patria siete degni del massimo riconoscimento. Tutti i giovani romagnoli non dimenticheranno mai il vostro supremo sacrificio, anzi, come il vostro nome rimarrà imperituro nella storia, il vostro esempio ci sarà di sicura guida verso l’avvenire. PATRIOTI. Le commemorazioni dei caduti non vanno seguite da lunghi e tediosi discorsi. Se troppo lungo non disturbo la quiete del vostro sonno, prima di por- gervi l’ultimo saluto e l’ultimo addio, abbiate da noi questa solenne promessa: abbiamo raccolto le vostre anime e con esse il vostro patrimonio idea- le. Tali armi non saranno deposte finché il vostro sogno non sia tradotto in realtà. ADDIO COMPAGNI”. Il 20 novembre del 1945, in occasione del primo anniversario dell’uccisione, il Comando dei Vigili del Fuoco inaugurò con una cerimonia una stele fatta erigere dal Corpo in memoria dei due caduti. Fu posizionata sul luogo esatto dell’eccidio e successivamente, con l’urbanizzazione dell’area, fu trasferita nella sua posizione attuale all’inizio di Vicolo dei Francesi. Nell’estate del 2003, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ravenna ha provveduto a far restaurare il cippo che ricorda quei tristi eventi avvenuti esattamente ottant’anni fa |