I Vigili del Fuoco partigiani a Roma
Di Claudio Garibaldi
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Tra la domenica del 4 e il lunedì del 5 giugno 1944, le truppe del generale Mark Wayne Clark entrarono in Roma da sud, incontrando una modesta resistenza. Scontri armati vi furono nei quartieri popolari di San Basilio, Tiburtino III e Pietralata.
Contemporaneamente nel pomeriggio del giorno 4, sulla via Cassia quattordici prigionieri prelevati dalle carceri delle SS di Via Tasso erano stati lucidamente trucidati in circostanze mai completamente chiarite, forse per un guasto del camion, uno SPA 38, su cui erano stati caricati. Il successivo giorno 5 la Resistenza romana perse gli ultimi due uomini, due giovanissimi, Felice Rosi di 19 anni e Ugo Forno di 13, il primo per bloccare due cingolati tedeschi, il secondo per impedire, insieme con alcuni suoi coetanei, la distruzione del ponte ferroviario sul fiume Aniene. Così si concludevano i nove lunghi e dolorosi mesi di occupazione della città, che tuttavia si può fregiare di un importante riconoscimento, le parole del feldmaresciallo Kesselring, il quale affermò, durante il suo processo, che Roma fu, tra tutti i paesi occupati, la capitale che più diede problemi, dove soldati e ufficiali tedeschi venivano uccisi per la strada e dove era impossibile mandare le truppe in licenza dal vicino fronte di Anzio a riprendersi e riposarsi. I vigili si dedicarono scarsamente alla guerra guerreggiata per la quale non avevano attitudine, ma rappresentarono sistematicamente ed efficacemente la sabbia che logorava l’ingranaggio. Nella caserma sulla via Marmorata, nei pressi della Piramide Cestia, si formò un nutrito e determinato nucleo di resistenti che faceva capo al Partito di Azione “Giustizia e Liber- tà”, denominato “Banda Vigili del Fuoco” che risultava attiva di 35 unità. Da una relazione dell’epoca: “Nella Caserma di Ostiense fu creato un deposito di armi e munizioni in collaborazione con il capo zona. Queste venivano ripulite e messe in efficienza e si attendeva l’ordine del comando militare per trasportarle con i nostri autocarri dove necessitavano. Nel suddetto deposito vi era un’affluenza di armi procurate da noi e dalla squadra dei Finanzieri. Altre attività furono, oltre al trasporto di armi, quello di una stazione radio trasmittente e ricevente da Monteverde ad un altro deposito, poi temporaneamente alla Caserma Ostiense stessa per sottrarre l’apparecchio alle ricerche, fino alla collocazione definitiva dove fu resa operativa nel convento dei frati di Santa Prisca”. Quella squadra dei Vigili riforniva di armi ed esplosivi le varie strutture della resistenza con materiale prelevato dall’Ospizio di San Michele. Sempre con automezzi del Corpo (una autopompa e un carro attrezzi) e personale di servizio, nel febbraio 1944 venne distrutto il materiale compromettente e i documenti del movimento clandestino che si trovavano in una tipografia di Via Basento 55, azione effettuata quando era già circondata dalle SS. L’incendio di un treno carico di munizioni, nonostante la presenza dei militari tedeschi non venne spento dalla squadra intervenuta, lamentando la rottura delle pompe da incendio. Usando gli automezzi di servizio, con i quali era possibile muoversi senza particolari vincoli, furono più volte trasferiti partigiani, renitenti alla leva e più in generale persone che, se sottoposte a controllo, sarebbero state arrestate. Nell’imminenza dell’allontanamento delle forze tedesche parteciparono alla tutela delle infrastrutture, quali il gazometro, i ponti sulla via Ostiense, le condutture dei servizi, le centrali elettriche, il mattatoio. Nella caserma centrale del Corpo, probabilmente all’insaputa dei colleghi di Ostiense, si formò un secondo gruppo forte di ventisette membri che faceva riferimento a “Bandiera Rossa”, l’organizzazione più spontanea e popolare, che per questa sua caratteristica fu tra quelle maggiormente colpite. Di questa formazione faceva parte il Vigile Antonio Nardi fucilato a Forte Bravetta. Dopo la liberazione, il fallimento delle Commissioni di epurazione che dovevano privare le pubbliche amministrazioni dai dipendenti compromessi con il regime, uffici che su oltre 143mila casi esaminati portarono alla rimozione di solo 1476 elementi, generò il ritorno degli stessi funzionari di dichiarata fede fascista nei ruoli che avevano occupato in precedenza. Ci fu quindi anche tra i Vigili la tendenza di chi si era esposto nella Resistenza di tacere il proprio ruolo. Si perse così gran parte della storia di quel periodo, fatto aggravato dalla fortuita ma pressoché totale distruzione dell’archivio del Comando. Tramite studi recenti sono stati individuati grazie agli archivi dell’ANPI e ad altre documentazioni le figure di 72 tra Vigili e sottufficiali attivi nella resistenza. Il vice brigadiere Alberto De Iacobis. Nel paese era progressivamente scemata la fiducia nella vittoria finale. Le forze angloamericane con lo sbarco a Reggio Calabria del 3 settembre 1943 iniziarono la campagna d’Italia. Quello stesso giorno a Cassibile, un borgo nei pressi di Siracusa, fu firmato l’armistizio, di fatto una resa incondizionata, tra il Regno d’Italia e gli alleati, che, fu convenuto, sarebbe entrato in vigore solo nel momento in cui fosse stato reso pubblico. La notizia rimase segreta fino alle 18,30 del successivo 8 settembre, quando gli americani, nella persona del generale Dwight Eisenhower, rompendo gli indugi di parte italiana, ne dettero pubblico annuncio da Radio Algeri. Dopo circa un’ora il maresciallo Pietro Badoglio fece altrettanto dai microfoni dell’EIAR. La reazione dei tedeschi, già da tempo pianificata, non si fece attendere. La fuga da Roma dei vertici militari, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto, insieme con il capo del governo Pietro Badoglio e la confusione dovuta alla mancanza di chiarezza del proclama da lui emanato, furono erroneamente interpretati come la fine della guerra. Parte dei reparti militari italiani stanziati sul suolo nazionale abbandonò le armi e, smessa la divisa, si diresse con mezzi di fortuna verso casa; 815.000 soldati vennero catturati e destinati a diversi lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani). La Divisione Acqui dislocata sull’isola di Cefalonia, forte di diverse migliaia di unità, pur resistendo fu totalmente annientata. Le truppe germaniche, ex alleate, occuparono tutta la penisola. Sulla capitale si diressero i reparti tedeschi dislocati intorno la città e le unità della Divisione paracadutisti, la Fallschirmjäger-Division di stanza a Pratica di Mare. Rimasero a contrastarli tra la Montagnola, la Magliana e Ostiense alcuni reparti dell’esercito a cui si affiancarono, nelle fasi finali, gruppi di civili. Il 10 settembre 1943, alle ore 16 circa, su disposizione del generale Giorgio Carlo Calvi di Bèrgolo, vista inutile qualsiasi resistenza venne firmata la resa, sottoscritta a Frascati dal tenente colonnello Leandro Giaccone e dal generale Siegfried Wesphal. Ma in quelle stesse ore a Porta San Paolo si combatteva ancora; alle 17 circa le truppe tedesche, vinta la resistenza di militari e civili dopo due giorni di combattimenti, varcarono Porta San Paolo e si diressero verso il Colosseo e lungo la via Marmorata dove trovarono alcune residue sacche di combattenti che ripiegavano verso Campo Testaccio; gli ultimi scontri armati si verificarono nella zona di S. Giovanni e alla stazione Termini. La sede dei vigili di Ostiense si trovava sul percorso dei militari germanici. Nei giorni precedenti era stata coinvolta trovandosi come immediata retrovia del sottile filo di resistenza armata di Porta San Paolo. Un paracadutista tedesco intravide sulla porta della caserma il vice brigadiere Alberto De Iacobis che cercava di seguire gli avvenimenti nonostante gli inviti alla cautela del brigadiere Gino Battarelli. Sussisteva il dubbio che ci fossero ancora feriti e i militari schierati contro gli invasori gettavano le divise e si rivestivano con abiti civili aiutati dagli abitanti di Testaccio. I tedeschi non distinguevano le divise dei vigili rispetto quelle militari, e per questo motivo durante i nove mesi di occupazione, come mostrano talvolta le foto dell’epoca, veniva indossata una sottile fascia al braccio. Un colpo da distanza ravvicinata e De Iacobis, che aveva 54 anni, cadde fulminato tra le braccia di Calogero Amore e Renato Efrati che con altri colleghi si trovavano dietro di lui. Nella concitazione del momento si perse notizia della salma che fu poi faticosamente rintracciata e successivamente traslata a Civitavecchia, sua città natale. A sua memoria, dal 27 novembre 1994, è intestata la sede dove trovò la morte. Riposa nel cimitero dei pompieri di Civitavecchia. La testimonianza di uno dei protagonisti di quelle giornate, Gualtiero Sensi, conferma che i vigili, o almeno una parte di essi, furono poi arrestati e tradotti a Ostia dai militari tedeschi, quindi successivamente liberati per l’intervento del Comandante. Ad aggravare la loro posizione fu il ritrovamento di alcune armi lasciate all’interno della caserma dai resistenti in fuga. Complessivamente, nella difesa di Roma vi furono 183 vittime civili, tra cui 27 donne, e 1.167 furono i militari caduti e tra essi 13 furono decorati con medaglia d’oro e 27 con medaglia d’argento al valor militare. Lo stesso 10 settembre 1943 fu ucciso a Roma, con un colpo di moschetto alla testa, ma in circostanze che non ci sono note, anche il vigile volontario Giovanbattista Pasini del 42° Corpo di La Spezia. Era stato ammesso a frequentare il corso presso le Scuole Centrali Antincendi nell’ottobre del 1942; della sua condizione familiare si sa solo che era sposato e con un figlio. Il figlio di De Iacobis, Luigi, fu ospite dell’orfanatrofio di Borgo a Buggiano. Il Comando di La Spezia alcuni mesi dopo commemorarono, alla presenza di tutti i maggiorenti locali, sia il vigile Giovanbattista Pasioni che Livio Pieracci, morto durante il bombardamento che il 14 maggio del 1943 distrusse Civitavecchia. Viene menzionato sulla lapide che fu posta nel 1944 nella caserma dei Vigili del Fuoco di La Spezia in via Alfonso Lamarmora, poi trasferita nella sede attuale, sulla quale si trovano scolpiti i nomi di sei caduti: Livio Pieracci, Giovanbattista Pasini, Gentile Rolla, Elmo Brondi, Ore- ste Canalini e Angelo Noceti, questi ultimi morti il 3 novembre del 1943 per un’esplosione in località Muggiano in un deposito di esplosivi. Raccontano le cronache che, nella sede solennemente paludata, il comandante lesse i nomi dei caduti alla presenza del prefetto Franz Turchi, del vice comandante tedesco Jantzen, il commissario al Comune Mario Arillo, il federale Augusto Bertozzi, il questore Emanuele Protani, il comandante delle camicie nere Filippi, il comandante Gratta, il maggiore dei carabinieri Siragusa, il barone Ricciardi, l’avvocato Agnese, il dottor Ferrauto e il capitano Greco. Antonio Nardi Alle ore dieci del mattino di venerdì 10 dicembre 1943, in una Roma sofferente e occupata, Antonio Nardi fu arrestato a poche centinaia di metri dalla sede del Comando dei Vigili del Fuoco, travolto e inghiottito dal meccanismo repressivo nazista che aveva sede in Via Tasso 145 ed era comandato dal capitano delle SS Herbert Kappler. Antonio, nel periodo bellico, prestava servizio come vigile temporaneo nella sede di Via Genova, caserma che dal settembre del 1943 soffriva la scomoda e ingombrante presenza dei militari tedeschi che vi avevano ricoverato numerosi automezzi, lì parcheggiati per proteggerli dalle azioni di sabotaggio messe in atto in tutta la città dalle organizzazioni partigiane. I veicoli subivano tuttavia piccoli ma frequenti guasti, apparentemente casuali e inspiegabili ma in realtà prodotti dagli stessi vigili i quali, pur non potendosi esporre per evitare ritorsioni e per non rendere manifesta l’attività clandestina che si svolgeva nella sede, non sapevano resistere alla tentazione di inceppare l’organizzazione degli occupanti, funestati da una grave carenza di copertoni e parti di ricambio. Nardi oltre che autista era un apprezzato meccanico. Proprio per queste sue caratteristiche veniva abitualmente impiegato nei servizi logistici. Di lui troviamo notizia anche in una relazione del maresciallo Venerio Ranieri alle cui dipendenze provvedeva al trasporto dei rifornimenti di scorte e generi alimentari con i quali, riservatamente e nei limiti del possibile, veniva anche dato conforto e sussistenza a persone in difficoltà, con particolare attenzione verso le famiglie dei vigili. Anche Ranieri, pluridecorato per atti di valore, e poi purtroppo tragicamente morto per un incidente nella sede di Via Genova, era attivo nella resistenza. Antonio Nardi risiedeva in via Vespasiano 40, quartiere Prati, a cento metri dalle mura del Vaticano, una zona abitata da quella media borghesia che vi era stata trapiantata fin dagli anni ’30 per stemperare le forti connotazioni popolari ben radicate nei caseggiati delle vicine via Candia, via Leone IV e di piazzale degli Eroi dove ancor oggi svetta la lapide in ricordo di Errico Malatesta, testimonianza della presenza e dei sentimenti anarchici che vi aleggiavano. Quel mattino, dopo essere uscito di casa era passato per piazza Risorgimento dove, al numero 14, si era incontrato con il suo amico Ettore Arena, militare di Marina, ispiratore e animatore insieme con i fratelli di una prima formazione partigiana nata spontaneamente il 16 settembre del 1943, poi denominata “banda Moro” dal nome di battaglia di Vincenzo Guarnera, maresciallo dell’Aeronautica. Aveva poi costituito una propria “banda Arena” facente parte della brigata partigiana la cui nomenclatura ufficiale era Movimento Comunista d’Italia, ma universalmente conosciuta come “Bandiera Rossa”. Questa organizzazione, proprio per le sue caratteristiche popolari e di spontaneità, fu quella più colpita a Roma con oltre 180 caduti, di cui ben cinquanta alle Fosse Ardeatine. Insieme, probabilmente a piedi, raggiusero Piazza Esedra, oggi piazza della Repubblica, dove nel Caffè Piccarozzi, tutt’oggi esistente, si incontrarono con altri due compagni di lotta che abitavano tra Monte Ciocci e Valle Aurelia, meglio conosciuta come Valle dell’Inferno, località così denominata per la presenza delle fornaci dove venivano prodotti molti dei laterizi utilizzati nelle opere di edilizia a Roma. Mentre consumavano un caffè furono affrontati da Federico Scarpato che, in base alla delazione di Biagio Roddi, armato di rivoltella, li costrinse, sotto minaccia di morte, a sedere ad un tavolo in attesa di altri eventuali convenuti. Fu proprio Arena a segnalare il pericolo con un movimento del capo ad altri due componenti dell’organizzazione. Scarpato, conosciuto come il “carnefice di via Tasso”, fu un attivissimo collaboratore della Gestapo. Accompagnò i nazisti in molti rastrellamenti per i quali si rese indispensabile per la sua conoscenza della città e del territorio. Fu con loro in rapporti particolarmente cordiali e amichevoli tanto da essere soprannominato “Fritz” dagli stessi tedeschi. L’efferatezza per cui era noto, riconosciuta nel processo che poi si svolse a suo carico, lo condusse verso la condanna a morte comminata dall’Alta corte di Giustizia ed eseguita a Forte Bravetta il 26 aprile del 1945. Una delle ultime esecuzioni, tra cui quella del questore Pietro Caruso, chiamato a rendere conto, tra l’altro, della stesura della lista di ostaggi uccisi alle Fosse Ardeatine, condanna eseguita il 22 settembre 1944, e quella di Pietro Koch, capo dell’omonima banda, responsabile di infinite efferatezze, fucilato il 5 giugno 1945, prima che il forte cessasse dall’essere un luogo di morte. Poco dopo sopraggiunsero i militari delle SS che condussero i quattro arrestati nelle carceri di via Tasso. Di questi, Arena fu torturato senza rivelare nulla dell’organizzazione; condannato a morte dal tribunale militare germanico, per attività antitedesca, fu fucilato a Forte Bravetta da un plotone della PAI (Polizia Africa Italiana) che dopo la caduta dei territori d’oltremare svolgeva compiti di polizia militare a Roma. Arena fu decorato alla memoria con medaglia d’oro al V.M. Mentre gli arrestati erano in attesa del primo interrogatorio, durante il quale furono ripetutamente malmenati, lo Scarpato, come emerge dalle testimonianze e a dimostrazione della consuetudine, telefonò alla propria moglie per avvertirla che per impegni di lavoro non avrebbe potuto tornare a casa. Nardi insieme con gli altri fu poi trasferito nel carcere di Regina Coeli, cella n. 375, dove giunse alle 14.30; il sergente delle SS Weseman lo schedò semplicemente come “autista” cancellando così memoria della sua appartenenza ai vigili del fuoco. Oltre che per l’interrogatorio del 9 febbraio del 1944, l’unico di cui si abbia documentazione, nel corso del quale subì le attenzioni dei suoi aguzzini, Nardi uscì dal carcere solo alle ore 11 del 7 marzo successivo per essere caricato sul “carrozzone”, il veicolo che l’avrebbe condotto a Forte Bravetta per essere fucilato con altri nove. Con lui caddero Antonio Bussi, Concetto Fioravanti, Vincenzo Gentile, Giorgio Labò (Lamberto) che fu trasportato a braccia avendo gli arti in gangrena per le torture subite, Paul Lauffer, Francesco Lipartiti carabiniere, Mario Mechelli, Augusto Pasini, Guido Rattoppatore, al quale il giorno precedente alla fucilazione furono amputate le dita della mano destra. Tutte le condanne a morte venivano comminate dal Feldgericht, il tribunale tedesco che aveva sede in Via Lucullo e che rimase attivo dal settembre 1943 al giugno 1944. Era il tribunale chiamato a giudicare gli imputati dopo le inchieste condotte dalla polizia tedesca. I processi duravano solitamente una manciata di minuti, spesso alla presenza di avvocati italiani di fede fascista. Solitamente le sentenze prevedevano la condanna capitale con fucilazione a Forte Bravetta o la deportazione in Germania. Ad Antonio Nardi fu intestata una sede del PCI, ora non più esistente e, dal 25 giugno 2019, la sezione ANPI dei Vigili del Fuoco di Roma. -------------- Antonio Nardi di Giovanni, nato a Leonessa (allora in provincia dell’Aquila poi dal 1927 in quella di Rieti) il 09/03/1904, deceduto a Roma il 07/03/1944, fucilato a Forte Bravetta all’età di 40 anni. Fonti documentali (principali) • Lettera autografa di Antonio Nardi – 10/02/1944 – indirizzata alla famiglia e scritta durante la detenzione • Ministero dell’Interno prot. 1860/2472 del 22/01/1945 – Relazione relativa all’attività svolta dai gruppi armati partigiani G.A.P. del movimento Malatesta – Rossi operanti in Roma e provincia • Archivio ANFIM (Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri) • Presidenza del Consiglio dei Ministri prot. 3499 del 25/04/1946 – Riconoscimento di Partigiano Combattente. • Lettera a firma di Arnaldo Iannelli – 20/05/2000. • Relazione del Brigadiere Ranieri Venerio (senza data, precedente al 1949). • Scheda del carcere di Via Tasso – Antonio Nardi - detenzione dal 10/12/1943 al 07/03/1944 a firma dei militari delle SS. • Atti del processo a carico dei delatori di Antonio Nardi o 09/05/1945 – Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo – Alto Commissariato Aggiunto per la punizione dei delitti – Nucleo di Polizia Giudiziaria – Denuncia a carico di Rosi Nello, Cipolla Ubaldo, Roddi Biagio. (allegati verbali di interrogatorio – 27/04/1945 Calabretti Maria [incompleto] – 30/04/1945 Antonelli Alberto). o 19/06/1946 – Tribunale Militare Territoriale di Roma – Sentenza contro Roddi Biagio, Cipolla Ubaldo, Targa Bruno, Rosi Nello, Storti Antonio (allegati testimonianze - 31/03/1945 Antonelli Alberto - 11/05/1945 Bianchi Gina ved. Nardi). o 31/05/1947 – Corte di Assise di Roma – Sentenza contro Roddi Biagio, Cipolla Ubaldo. Lettera inviata da Antonio Nardi alla moglie “Mia Cara Gina Dopo due mesi dal mio arresto ieri ho subito l’interrogatorio. Credevo che non mi avessero incolpato di nulla, invece mi si accusa di aver fatta propaganda Socialista nel Corpo dei Vigili del Fuoco, io in verità ciò non l’ho fatto, ma loro insistono, perciò la situazione mi si aggrava un poco. La Causa la passerò tra qualche giorno. Se è possibile vorrei mettere un avvocato ma a questo bisogna che provvediate voi, ma subito, perciò rivolgiti all’avvocato Preziosi Costantino che abita in via Alberico II, il suo numero lo sa Giovannino. Se non può l’avvocato Preziosi cerca dell’avvocato Mancuso Cesare, la sua abitazione la domandi. Oppure la cerchi sul libro dei telefoni, questi avvocati mi conoscono tutti e due, insomma fa quello che puoi fare. Ai Vigili del Fuoco versa tutto il Casermaggio e le divise. Così ti puoi far liquidare. Ti farai aiutare a fare l’inventario da qualche Vigile che mi conosce, e la farai portare in Via Genova da una macchina di passaggio che va in Via Genova e ti farai liquidare il mio stipendio. Non vi impensierite per me perché io penso che la Condanna non sarà tanto grave, però penso che mi porteranno in Germania; state tranquilli e allegri come lo sono io, e perdonatemi di tutti i disagi che state passando per me. Baci a tutti, vostro affezionato Antonio Se avete ancora mie sigarette vendetele Attendo una lunga risposta. Prova a chiedere il colloquio.” NOTE: Antonio Nardi era perfettamente a conoscenza del fatto che la lettera sarebbe stata controllata dalla censura, quindi cercò di dimostrarsi ottimista anche se la sua situazione in Via Tasso non faceva presumere niente di buono. Lo strano invito a vendere le sigarette potrebbe costituire un messaggio non esplicito alla famiglia. |