Una scelta di campo
di Teresio Pareglio con un ricordo di Primino Pareglio
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Le poche righe che seguono sono semplici ricordi di Teresio Pareglio, Partigiano dal nome di battaglia Euclide, Commissario di Battaglione della 109° Brigata Garibaldi “Tellaroli” - XII Divisione d’assalto NEDO operante nel Biellese Orientale. Sono delle istantanee scolpite nella memoria di un giovane di tanti anni fa che ha preso parte con tanti altri coetanei alla prima lotta di popolo della nostra storia, che raccontano con grande sobrietà come è avvenuta la “scelta di campo” in quel lontano 1943.
La mia scelta di campo iniziò l’8 Settembre. Quell’estate del 1943 fu non solo di grande calura ma foriera di avvenimenti che nessuno presagiva, soprattutto in quel fine luglio, mentre si consumavano le ultime ore del regime e del suo capo Mussolini. Nulla faceva pensare alla tragedia finale. Nelle sale cinematografiche si proiettava un filmato dell’Istituto Luce, il Cinegiornale, orgogliosa istituzione cinematografica fascista, che presentava alla pubblica opinione il capo del regime vestito di bianco dalla testa ai piedi fatta eccezione per un vezzoso fazzoletto colorato nel taschino, mentre riceveva il primo ministro romeno Antonescu. Eravamo abituati a vederlo in orbace e camicia nera, quella tenuta sembrava strana e lo riportarono anche i giornali. Ma il motivo c’era. Mussolini, abbigliato come per una vacanza di lusso, mentre infuriava la guerra e gli alleati sbarcavano in Sicilia, ancora una volta volle ostentare tranquillità… non fu un buon presagio. Non tardò la messa in minoranza su di un O.d.G. al Gran Consiglio del fascismo. Era il 25 luglio del 1943. Cadde Mussolini ed il suo regime. Alcuni mesi prima, essendosi presentata l’occasione, lasciati gli studi, mi ero arruolato come volontario nel 90° Corpo dei vigili del Fuoco di stanza a Vercelli.Era per noi giovani un’alternativa al servizio militare, vista la situazione imprevedibile di quegli anni. Ricordo quel 25 Luglio per un fatto accaduto in caserma. Era sera ed io mi trovavo presso il centralino telefonico con un collega quando udimmo uno schianto ed il rumore di vetri infranti provenire dall’acciottolato del cortile interno. Uscimmo in tutta fretta e notammo ciò che restava di un quadro con cornice, raffigurante il duce in frantumi; dalla gioia di aver appreso la notizia della caduta del regime dalla radio, un sottufficiale abitante l’ultimo piano degli alloggiamenti di servizio, scaraventò il quadro nel cortile. La notizia si sparse fulminea nelle camerate ci fu un’euforia, se non generale, (c’erano alcuni elementi di fede fascista) della maggior parte del personale. Quel momento, magico ed inatteso, che portò speranza in merito alla fine delle ostilità che avevano lacerato il nostro popolo ebbe però vita breve. La situazione dopo quel 25 Luglio e l’avvento di Badoglio al governo era poco chiara, c’era nell’aria il sentore di trovarsi di fronte ad importanti eventi. Gli organi di stampa ai primi di agosto riportavano commenti del tipo “Ancora false voci su eventi nazionali”, “continuano a circolare e diffondersi false voci di avvenimenti sensazionali che non hanno fondamento. Queste voci sono evidentemente sparse da elementi irresponsabili” ed antinazionali che hanno interesse a turbare la tranquillità e l’ordine”. Si diceva inoltre.” È bene precisare una volta per tutte come queste voci e quelle simili che radio Londra propaga siano assolutamente destituita di fondamento. Gli italiani resteranno fedeli al loro Re, disciplinati agli ordini del loro governo”. Nonostante queste smentite ufficiali si arrivò a quel fatidico 8 settembre. In caserma ne avemmo il sentore qualche giorno prima quando alcuni ufficiali di stanza alla caserma Umberto I° di Porta Milano (ora Garrone) a noi aggregati con militari di truppa di supporto in caso di bombardamenti sulla città, vennero a chiedere divise usate. Era il sintomo che si stava preparando l’esodo dalle caserme dell’esercito. Infatti la sera dell’8 settembre intorno alle 20,00 si interruppero le trasmissioni radiofoniche e l’EIAR mise in onda, con la voce delle grandi occasioni dell’annunciatore, il messaggio del maresciallo Badoglio sulla firma dell’armistizio con gli alleati a Cassibile. Si pensava che la guerra fosse finalmente finita. Purtroppo così non fu. Di quei giorni ricordo l’arrivo dei tedeschi a Vercelli. Ero di giornata libera dal servizio e in mattinata attendevo l’arrivo di un collega all’angolo di Porta Milano nei pressi del chiosco dei giornali, quando vidi spuntare dal ponte del Cervetto una motocarrozzetta con tre militari tedeschi a bordo che lentamente procedeva verso al caserma Umberto I°. I militari si appressano al portone, picchiano alcuni colpi con il calcio dei fucili, il portone si apre e segue un breve colloquio. Non avendo alcuna direttiva, ufficiali e truppa non rea- giscono e la resa è collettiva. Intanto il grosso delle truppe tedesche stazionanti fuori città superati i ponti sul Sesia e sul Cervetto entrano senza incontrare resistenza alcuna. Tuttavia l’esodo dalle caserme continuava, la popolazione forniva ai temerari abiti civili favorendone la fuga, anche se in alcuni casi l’esito della fuga fu infausto… io fui testimone di uno di questi. In quegli anni un lato della caserma Umberto I° confinava con la recinzione del convento di S. Eusebio adiacente ad un’area adibita ad orto. Alcuni militari nel tentativo di fuggire, superato il muraglione di cinta si trovavano a dover affrontare un forte dislivello, quindi erano stati accumulati vecchi materassi per poter attutire la caduta; superato questo ostacolo occorreva portarsi verso l’entrata dell’Istituto S. Eusebio con l’aiuto di personale e suore, attraversare la piazza ed entrare nel cancello carraio della caserma dei vigili del fuoco (ora sede della C.R.I.) per poi uscire su via del Tribunale. La sfortuna toccò ad un militare che uscito dal S. Eusebio, in difficoltà per una probabile frattura alla gamba, tentò di arrivare al portone della caserma VF, ma a circa metà della piazza stramazzò a terra. Dal portone socchiuso, per accogliere i fuggitivi, tentammo un’uscita nell’intento di recuperalo, ma non ci fu il tempo. Una pattuglia di tedeschi era in arrivo da Via Borgogna preannunciata dalla cadenza degli stivali ferrati. Il malcapitato tentò di rialzarsi ma i tedeschi lo atterrarono con i calci dei fucili e non curandosi delle condizioni in cui versava lo trascinarono via come un sacco di patate. Il pattugliamento della truppa in città era una dimostrazione alla popolazione delle forze di cui i tedeschi disponevano a presidio dei punti nevralgici della città. Il comando germanico si installò all’Albergo Savoia di Viale Garibaldi. Trascorsi alcuni giorni tutta la provincia di Vercelli era sotto controllo nazista. I militari rastrellati nelle varie caserme cittadine, in lunghe colonne scortate da nazisti, mitra alla mano, venivano convogliati alla Stazione ferroviaria, rinchiusi su vagoni bestiame sigillati e deportati nei lager germanici. Era la conseguenza diretta di quell’otto settembre. Con la liberazione di Mussolini il 12 settembre per ordine di Hitler e la rifondazione del fascismo sotto la nuova sigla di Repubblica Sociale Italiana, una mera entità politica, senza esercito, senza amministrazione, accampata in mezzo alle armate tedesche, prende l’avvio uno dei periodi più bui che l’Italia ricordi. Anche per Vercelli e la sua Provincia si presenta un periodo oscuro e di tragici momenti e non solo per le incursioni ed i bombardamenti aerei alleati. Dall’ottobre 1943 fu inviato a Vercelli, proveniente da Lucca un nuovo prefetto fedele al governo di Salò, il famigerato Michele Morsero, Capo della provincia e del “fascismo” locale. Tra le altre misure adottate, volendo dare un’impronta repubblichina ove possibile, intervenne anche sul 90° Corpo dei Vigili del Fuoco di Vercelli, sostituendo il Comandante, con un suo uomo di fiducia, il Geom. Donnari proveniente da Perugia ed alcuni suoi accoliti. Da subito impose l’adesione alla R.S.I. pena la radiazione di tutti i vigili permanenti o volontari e successivamente la modifica dei tradizionali capi di vestiario (uniformi che comprendevano stivali in cuoio, camicia e cravatta color caki) con scarponcelli, calzettoni e maglione neri, con l’esplicito riferimento al vestiario delle formazioni repubblichine. L’obbligo di indossare il maglione nero in uso con l’aggiunta del “teschio” delle tristemente note formazioni della “Tagliamento – X MAS, Camilluccia, Battaglioni M ecc.” per niente gradita ai Vigili, non fu per nulla gradito ai Vigili, già ostili alla caratterizzazione paramilitare del corpo in tempo di guerra, con l’ora di canto, le dotazioni di armi (moschetto ‘91 ridotto) e l’istruzione formale militare del sabato mattina. L’adeguamento fu quindi molto contestato. Gli atti di disubbidienza che ne seguirono prelusero ad un più incisivo senso di coesione fra i vigili, all’interno del Corpo, fra anziani e giovani, che portò alla costituzione di un nutrito nucleo clandestino di Sappisti operanti in collegamento stretto con le S.A.P. “Boero” ed il C.L.N. Provinciale con compiti speciali di salvaguardia degli edifici pubblici e di prevenzione di sac- cheggi e distruzioni, da parte di tedeschi e fascisti in fuga dalla città; operazioni messe in atto e pienamente riuscite nei giorni della Liberazione. L’operazione “Chiamata alle armi” voluta dal Maresciallo Graziani, capo delle istituende forze armate della R.S.I. non ottenne rilevanti risultati. Nel Maggio del 1944 con un bando, Graziani estese la chiamata alle classi più giovani del 1925 e del 1926 primo semestre, fino allora non chiamate. Parecchi Vigili Volontari dovettero lasciare il Corpo coercitivamente e presentarsi ai distretti di appartenenza, pena, causa diserzione, se catturati, la fucilazione. Per molti di noi fu quindi il momento di una scelta ben precisa. Su suggerimento di alcuni colleghi che operavano ed intrattenevano rapporti clandestini con i movimenti partigiani già attivi in varie zone del Piemonte attraverso Corpi Provinciali dei Vigili del Fuoco, non ci fu che una scelta, quella della montagna. Così fu per me, che con un’uniforme prestata, utile a superare i posti di blocco presenti sulle strade, mi avviai in Valsessera raggiungendo i Partigiani della nascente 50° Brigata Garibaldi, poi divenuta XII Divisione Garibaldi “Nedo” con la quale partecipai alla lotta fino alla Liberazione di Vercelli il giorno 26 Aprile 1945. Tornai a casa quindi dopo 11 mesi di lotta. Altri che compirono la stessa scelta, come un mio caro amico e compagno, volontario dei Vigili del Fuoco di Vercelli, vercellese di Asigliano della mia stessa classe (1926) Gerardo Salis, stessa formazione, non furono altrettanto fortunati. Catturato con il distaccamento al completo, composto da una trentina di partigiani, nei pressi della Cascina Spinola di Livorno Ferraris di ritorno dal Monferrato, per una delazione, fu passato per le armi in quel di Salussola con altri 21 compagni il 9 Marzo 1945” |