Pietro Ajovalasit. Comandante a Palermo.
Memoria di Lucia Ajovalasit
Pietro Ajovalasit nacque a Palermo il 1° luglio del 1900, primo di sette figli. Il padre, grande lavoratore aveva una bottega-officina per realizzare attrezzi agricoli e li fu costruito il primo maglio su progetto del figlio allora studente della facoltà di ingegneria sezione meccanica. So, per averlo sentito raccontare che fu un evento al quale parteciparono tanti docenti della stessa facoltà.
Pur continuando a seguire l’attività del padre, intanto altri fratelli avevano iniziato lo stesso mestiere, ma non tutti. Infatti egli intraprese la carriera militare, frequentando un’accademia militare, ci parlava anche della sua esperienza con i cavalli, e nel lontano 1925, dal Genio Militare passò al corpo dei Pompieri di Palermo che allora erano comunali (per evitare eventuali trasferimenti).
La prima caserma era in via Spirito Santo nello stesso lato della Chiesa di S. Agostino e lì sono i miei primi ricordi, un bel terrazzo al piano e balconcini a petto prospicienti il cortile.
Nel 1937 fu costruita la nuova caserma in via Scarlatti angolo via Donizetti che fu inaugurata dal capo del governo Benito Mussolini.
Se non ricordo male il comandante era l’ing. Ferrigno. Altri ufficiali: l’ ing. Bertinatti, Bontà ed Ajovalasit.
Dalle foto d’epoca, abbiamo testimonianze che anche nella vecchia caserma, si festeggiava la befana con i figli dei Pompieri e la celebrazione della Santa Barbara con tante esercitazioni ginniche ed esercizi al castello di manovra.
Dopo questo inizio brillante, il comandante Bertinatti fu trasferito a Roma e dopo pochi mesi volle che anche Ajovalasit lo seguisse nella nuova sede. I miei ricordi in questo frangente sono molto labili. Ricordo però che vi fu un terribile incendio a Colleferro e l’intervento dei Pompieri fu molto a rischio della loro stessa vita. In quel momento così pericoloso per tutti, papà ebbe un riconoscimento molto sentito: una medaglia di bronzo al valore. Era il 1938. Dopo il breve soggiorno a Roma, ritornò in Sicilia come Comandante del 51° Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Messina.
Si era alla vigilia dello scoppio della II Guerra Mondiale, e la caserma era ancora nelle baracche provvisorie del dopo terremoto!
Ricordo ancora il terribile comunicato alla radio, con cui Benito Mussolini, con grande sussiego annunciava l’ingresso dell’Italia in guerra al fianco della Germania.
Il breve periodo di soggiorno a Messina fu ricco di iniziative per la valorizzazione della città, tanto importante per la sua posizione sullo stretto, e ricchissima di eventi, anche pericolosi. Non ricordo bene l’evento ma in occasione di un intervento sul mare per salvare tante vite umane, papà ebbe conferita dal Ministero della Marina, con decreto 9 febbraio 1941, la Medaglia d’Argento al Valore Militare.
Peccato che gli inizi della guerra, apportarono paura e tanta angoscia in tutta la cittadinanza, proprio per la loro posizione geografica “difficile”.
Il soggiorno a Messina fu piuttosto breve perché l’allora Capo dello Stato Benito Mussolini, pensò bene di allontanare tutti i comandanti siciliani dalla Sicilia e trasferirli al nord Italia. No Comment!
Papà fu trasferito a Bologna e l’ing. Bigi, allora Comandante della città, fu inviato a Palermo.
Mentre ci trovavamo ancora ospiti in albergo, avvenne uno degli incendi più gravi che io ricordi: era il 23 settembre del 1942, quello dentro la galleria ferroviaria denominata ”la direttissima”, che univa la città di Bologna con Firenze. Un inferno al quale lavorarono per diverse ore i vigili di entrambe le città. Fu il primo momento in cui il nuovo comandante si trovò a fianco dei “Suoi Uomini”.
Per quella partecipazione ebbe un prestigioso riconoscimento: una medaglia d’argento.
Pur essendo periodo di guerra, ricordo che papà, visto che i vigili non avevano lenzuola nei letti della caserma, si fece accompagnare in una fabbrica a comprare della tela grezza (quello che potè trovare) che per giorni poi fu messa sul castello di manovra a sbiancare!
In caserma vi era una cappella in disuso da tempo e papà espresse il desiderio di potere ascoltare la domenica la S. Messa senza obblighi per alcuno. Fu sempre piena di vigili e si respirava una atmosfera veramente sentita e mistica.
Altro gravissimo incendio avvenne in una fabbrica militare di Marano di Castanasio sempre vicino Bologna. Ed anche in quella terribile occasione papà ebbe assegnata una seconda medaglia d’argento al valore.
Il Giornale di Sicilia del tempo pubblicò erroneamente un articolo: morte di un Eroe. Per fortuna era una informazione inesatta.
Rimanemmo a Bologna poco più di un anno e papà chiese il trasferimento a Roma alle Scuole delle Capannelle, per avvicinarci un pochino al nostro meridione. Erano tristi momenti in cui non si sapeva veramente quale sarebbe stato il nostro futuro.
Debbo dire che lasciammo Bologna con dispiacere ed il sentimento di amicizia che si era instaurato con gli ufficiali, l’ing. Dall’Osso, e tutto il personale, fu tale che proseguendo le ristrettezze della guerra a Roma, si viveva soltanto con i prodotti della tessera ed erano veramente scarsi, da Bologna, finché vi fu la possibilità, ci facevano giungere per noi bambini, generi alimentari di prima necessità con la corriera.
A Roma affrontammo il terribile 1943!
La Sicilia veniva bombardata dalle fortezze volanti americane e non so se Mussolini si rendesse conto della crudeltà di Hitler e dei danni che stava causando alla nostra bella Nazione.
I primi di luglio era nato a Roma il mio fratellino e ricordo che papà, era il 16 luglio, chiamò i Vigili del Fuoco di Palermo perché potessero comunicare ai miei nonni la nascita del nuovo bimbo. La telefonata fu brevissima perché proprio in quel momento le truppe americane stavano entrando in caserma e papà visse quei terribili momenti involontariamente e casualmente, in diretta, dalla voce concitata del telefonista, costretto ad interrompere la telefonata per dismettere l’impianto. Almeno mi pare di ricordare questo particolare. Una telefonata che ci diede la gravità del momento che stavano vivendo i nostri cari in Sicilia.
Da quel momento nessuna comunicazione avvenne più con la nostra terra e l’Italia si trovò divisa tra gli americani al sud ed i tedeschi in tutto il resto della penisola. Ci stavamo avvicinando a grandi passi ad uno dei momenti più drammatici della nostra storia: l’8 settembre del 1943.
Vittorio Emanuele III decise per l’alleanza con gli Stati Uniti d’America e fuggì con tutta la famiglia a Brindisi sulle navi protette dai nuovi alleati. Noi che stavamo a Roma venimmo a sapere che Umberto I in verità non voleva partire e neppure la regina Elena, che aveva anche il pensiero alle figlie, Giovanna che aveva sposato re Boris di Bulgaria, ucciso poco prima in un attentato e Mafalda che aveva sposato un principe tedesco e si trovava in Bulgaria per assistere la sorella in quei gravi momenti.
Per quanto bambina, ricordo i terribili momenti che abbiamo vissuto, coscienti del fatto che Roma, come tutto il resto d’Italia, era in mano ai tedeschi, ormai nemici. Come si sarebbero comportati?
Prima di questa decisione di allontanarsi da Roma, il Re compì un atto che fece profondamente indignare la regina Elena. Dopo avere convocato il Capo del Governo Mussolini al Palazzo Reale, lo fece arrestare, lì a casa loro! La storia seguente è nota a tutti. Mussolini fu liberato da Hitler che tentò di instaurare in alta Italia un nuovo Stato; le lotte partigiane con numerosissime vittime, e la sua morte, insieme alla signora Claretta Petacci, sua amica e l’esposizione in piazzale Loreto, mi pare, appesi per i piedi a testa in giù.
Particolare da non dimenticare: i nostri eserciti furono lasciati allo sbando senza alcuna disposizione e Roma come tante città italiane, ospitarono le centinaia di sbandati nonostante i tedeschi minacciassero con la pena di morte chi dava loro ospitalità. Anche noi ospitammo in casa un amico di papà che al momento del dramma si trovava comandato a Civitavecchia, l’ing. Carlo Columba. In Sicilia non poteva ritornare perché già occupata dagli Americani e quindi venne a Roma da noi, dove rimase circa nove mesi.
E quale è stato il comportamento dei tedeschi a Roma?
Pronti alla rappresaglia; reagirono all’attentato di via Rasella bloccando interi quartieri e portando centinaia di cittadini alle fosse Ardeatine, sui bordi delle quali mitragliarono i malcapitati che così cadevano direttamente nelle fosse.
A Roma si viveva nel terrore: le Chiese ovviamente ospitavano tanti uomini e ricordo che papà portò personalmente al parroco della Chiesa di S. Agnese, don Mario Marchi, una scala di corda arrotolata sotto braccio per consentire di far nascondere i militari nel sottotetto della Chiesa.
Oltre al pericolo dei tedeschi, l’altro nemico fu la fame.
Oltre le razioni che si potevano ottenere con la tessera, non vi era alcuna possibilità, anche avendo i soldi, di potere comprare qualcosa. Niente.
Anche il Papa Pio XII tentò di aiutarci, mandando i propri mezzi con tanto di stemma pontificio fuori Roma per tentare di portare generi alimentari alla popolazione; ma invano. Venivano mitragliati e vanificati.
In quei terribili momenti, fra l’altro, volevano trasferire mio padre al seguito del nuovo Stato. Papà rifiutò dicendo giustamente che aveva quattro figli di cui uno appena nato. Fu lasciato a Roma ma senza sostegno economico, avendogli tolto lo stipendio.
La mancanza di alimenti fu tale che personalmente, avevo 11 anni, mi svegliai una mattina con le gambe ricoperte di macchie rosse che si trasformarono poi in lividi, impedendomi di camminare. Il medico dei vigili, chiamato per il bisogno disse una semplice parola: denutrizione Comandante! L’unico cibo che papà potè comprarmi furono, le uova a 5 lire l’uno. Non esisteva frutta e l’unica verdura in giro erano le rape.
Nonostante fosse stato sospeso dal suo lavoro, papà continuò ad andare alle Scuole Antincendi delle Capannelle anche per proteggere tutto il materiale scientifico che vi era nei laboratori e lì si trovava il giorno in cui i tedeschi occuparono i locali. Tentò di difendere il patrimonio scientifico chiedendo di poterlo trasferire in caserma. Dopo diverse telefonate con i tedeschi, ne ottenne il permesso, e ricordo che fra il materiale scientifico fece portare via anche dei fusti d’olio che fece conservare nella caserma di via Genova. Il Comandante grato ovviamente gliene lasciò uno per la nostra famiglia. Potete immaginare la gioia di tutti noi.
Cosciente della carenza di olio come di tutto il resto, papà ne fece dono a tutti i condomini dello stabile, portiere compreso, e fatta una piccola scorta in casa il fusto dimezzato fu posto in un cantinato privato che avevamo, come tutti gli altri appartamenti. Un brutto giorno, quando mamma ebbe bisogno di rifornirsi, trovammo il fusto vuoto. Alla domanda di papà al portiere se avesse sentito rumori qualche notte, la risposta fu: «comandante, ma il suo amico non è scritto fra gli ospiti del condominio vero?». Il che ovviamente significò, taci tu e taccio io.
Dimenticavo di raccontare dei cosiddetti orti di guerra. Poiché la via in cui abitavamo, via S. Angela Merici, traversa di via Nomentana nei pressi della stazione Tiburtina, posizione che poi ci “privilegiò” quando ebbero inizio i bombardamenti, era asfaltata a metà, papà e gli altri condomini recintarono parte della strada non asfaltata e realizzarono ciascuno un orticello. Le piantine le comprarono dai giardinieri delle ville esistenti nella vicinanze e finalmente potemmo avere un po’ di verdura fresca. Papà coltivò splendide melanzane, che ci aiutarono molto anche perché servivano per scambiarle con gli ortaggi dei vicini.
A fine luglio del 1943 avvenne il primo grande bombardamento su Roma nonostante fosse stata dichiarata città aperta. La gente abituata a sentire e vedere passare le fortezze volanti quel giorno non pensò di ripararsi e nei quartieri colpiti, tra i quali S. Lorenzo, si ebbero più di mille morti.
Mio padre, che ovviamente corse con le squadre di soccorso, ci raccontò che il Papa per la prima volta uscì a piedi da S. Pietro per benedire le vittime e portare una voce di conforto ai superstiti.
Uno dei siti più colpiti dagli americani, fu l’Abbazia di Monte Cassino, tesoro archeologico e museo, ritenuto covo dei tedeschi. Dopo la caduta in mano americana di questo importante sito, la strada per Roma fu libera e la città fu occupata dopo una lunga serie di bombardamenti che fecero davvero molti danni alla popolazione ed ai luoghi.
Il loro arrivo significò per la popolazione, anche la fine dell’oppressione tedesca, e l’arrivo delle caramelle per i bambini, del cibo e della frutta che non vedevamo da mesi. Le camionette sfrecciavamo per la città con tanti giovani militari che sorridevano alle fanciulle romane, che cominciarono ad occuparsi di qualsiasi tipo di lavoro, essendo gli uomini al fronte; da quelli negli uffici a quelli più umili; nelle strade e sugli autobus, dimostrando veramente l’evidente parità di genere.
Appena fu possibile papà chiese il trasferimento a Palermo, che avvenne dopo un lunghissimo viaggio in treno, interrotto spesso specialmente nelle Calabrie, con tratti percorsi a piedi o su qualche asinello, per superare le zone in cui i ponti erano stati distrutti dai bombardamenti. Tragitti che sono rimasti scolpiti nelle nostre menti, come una notte passata in un alloggio di fortuna nella Sila.
Finalmente giungemmo a Palermo: un sogno dopo l’accidentato passaggio sullo stretto di Messina. Una bella casa in caserma, in un ambiente caro ed ospitale: il nostro meridione.
Non so papà cosa abbia trovato perché non parlava mai di lavoro in casa. Fra l’altro quello che era avvenuto con la presenza degli americani, non tutto era legale. In caserma abbiamo sempre avuto delle ottime squadre con a capo marescialli, molto in gamba; tra questi Macaluso e Campione. Dagli americani furono promossi ufficiali ed avevano preso abitazione al terzo piano degli alloggi ufficiali in caserma. Ritornata la normalità la Direzione Generale non riconobbe queste promozioni ed i due ritornarono al grado di maresciallo. Umanamente papà non volle mortificare i due validissimi collaboratori e diede loro altri incarichi, facendoli vestire in borghese: Macaluso, all’Ufficio Contabilità e Campione alla Protezione Civile. Infatti questo compito era allora assegnato, senza alcun peso economico aggiunto, proprio al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
Alle ore otto di ogni mattina vi era il cambio della guardia che avveniva con le squadre schierate in cortile, ordinatissime, con i loro marescialli, poi, quella smontante andava a casa a riposarsi e gli altri riprendevano ciascuno il proprio lavoro. Infatti, in caserma vi erano officine per affrontare tutti i problemi da quelli meccanici a quelli più semplici di falegnameria o altro. Tutto si aggiustava in caserma. Papà ogni pomeriggio, prima di salire a casa per il pranzo, faceva il giro delle officine per osservare e rispondere a tutti i quesiti che gli venivano posti.
Era un mondo veramente operoso e vigile. L’atmosfera era di ordine, disciplina e rispetto. Papà era pure un punto di riferimento importante per i suoi uomini che quando avevano problemi con i loro figli, glieli portavano perché ascoltassero le sue parole.
Furono quelli del dopoguerra gli anni, in cui papà realizzò il cosiddetto Museo Pesante, ossia con tutti i macchinari in disuso, ma che costituivano la memoria del Comando. Il museo si trovava a piano terra in fondo al corridoio che conduceva alla scala degli appartamenti ufficiali, mentre al secondo piano realizzò il Museo Leggero, con tutti quegli oggetti, elmetti, arnesi e documenti, che costituivano la storia e la vita dei Nostri Uomini.
In quei anni al terzo piano dove si trovavano la cucina e la mensa, papà ospitò una compagnia di attori, l’Arcobaleno siciliano, fondato dal poeta siciliano Giovanni Girgenti, la cui prima attrice era Maria Randazzo in arte zia Maruzza. Furono momenti bellissimi, perché portarono sulle scene il ricco patrimonio del nostro teatro in vernacolo ed erano invitati ad assistere tutte le famiglie dei vigili. Pomeriggi indimenticabili.
In quegli stessi anni visse a Palermo un’indimenticabile figura: Padre Messina, che al foro italico realizzò un luogo per l’accoglienza degli orfanelli, che lui stesso raccoglieva in strada. Ancora oggi molti ricordano la sua grande opera umanitaria. Ricordo che ogni tanto veniva pure in caserma a chiedere aiuto per fare mangiare i suoi orfanelli, con una rudimentale carrozza ed ovviamente non andava mai via a mani vuote: generi alimentari di ogni tipo ed anche qualche capo di vestiario che papà chiedeva a mamma, preso dal nostro piccolo corredo personale. Una volta Padre Messina raccontò a mio padre che il Cardinale, credo Ruffini, voleva promuoverlo Monsignore. Una promozione che rifiutò perché diceva: «Padre Messina era qualcuno tra i Bimbi e nel quartiere, Monsignore Messina, uno sconosciuto».
Che semplicità e che Fede!
Inutile dire che Papà, seguiva tutti i movimenti dei suoi uomini e alcuni dei superstiti in pensione oggi, ricordano che quando avvenivano le chiamate di notte, si affacciava per vedere uscire i suoi uomini, ed io ricordo che non tornava a dormire fino a quando non fossero rientrati.
Ricordo le celebrazioni della Ascensione alla presenza del Cardinale Ruffini. In quella occasione lo spazio del teatro veniva trasformato in Cappella perché numerosa era la partecipazione delle famiglie e le prime comunioni dei piccoli.
Sua Eminenza parlava molto bene e con grande calore umano. Amava accostare alla solennità religiosa, una delle attività dei vigili: Ascendere! E partecipava pure con slancio alle celebrazioni della nostra Patrona Santa Barbara. In una di quelle ricorrenze, seguita dai consueti saggi professionali, il vigile Seggio volle compiere il difficile salto nel telo a scivolo, lanciandosi dall’ultimo piano del castello di manovra. Il telo tenuto dai colleghi non era ben posizionato e il vigile rischiò di non centrarlo. All’ultimo momento Seggio corresse la sua traiettoria dandosi un vigoroso colpo di reni. Sua Eminenza lo volle vicino a sé e si fece promettere che non avrebbe mai più tentato questa difficile esibizione.
Altro momento che è ancora scolpito nella mia mente, la sera della vigilia di Natale. Ascoltavamo la messa tutti insieme nella nostra Cappella e poi rientravamo nel nostro appartamento per la cena con tutti gli ufficiali e le loro famiglie.
Altro momento prestigioso era la sfilata del 2 giugno in via Libertà. Eravamo fieri di vedere i nostri Vigili sfilare con l’Esercito.
Ho ancora dinanzi agli occhi le decine e decine di volti dei “nostri” Uomini – dei nostri gentilissimi attendenti che ci accompagnavano a scuola. I signori Governale e Salvo, per citarne alcuni, dei più giovani come Andrea Scaglione. Furono molto vicini a papà quando lasciò l’abitazione in caserma e si trasferì in via N. Turrisi.
Papà concluse la sua carriera come Ispettore per la Sicilia e la Calabria, ed in ultimo a Roma come Ispettore Generale Capo dei Servizi Antincendi e Protezione Civile.
I riconoscimenti e le onorificenze che gli vennero conferite nel corso della sua lunga e intensa carriera furono molteplici. 2 Medaglie d'Argento e 1 Medaglia di bronzo al Valore Civile, 1 Medaglia d'Argento e 1 Medaglia di bronzo al Valore Militare.
Venne inoltre nominato Cavaliere all’Ordine della Corona d'Italia, Cavaliere Ufficiale e Grand’Ufficiale all’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Pur continuando a seguire l’attività del padre, intanto altri fratelli avevano iniziato lo stesso mestiere, ma non tutti. Infatti egli intraprese la carriera militare, frequentando un’accademia militare, ci parlava anche della sua esperienza con i cavalli, e nel lontano 1925, dal Genio Militare passò al corpo dei Pompieri di Palermo che allora erano comunali (per evitare eventuali trasferimenti).
La prima caserma era in via Spirito Santo nello stesso lato della Chiesa di S. Agostino e lì sono i miei primi ricordi, un bel terrazzo al piano e balconcini a petto prospicienti il cortile.
Nel 1937 fu costruita la nuova caserma in via Scarlatti angolo via Donizetti che fu inaugurata dal capo del governo Benito Mussolini.
Se non ricordo male il comandante era l’ing. Ferrigno. Altri ufficiali: l’ ing. Bertinatti, Bontà ed Ajovalasit.
Dalle foto d’epoca, abbiamo testimonianze che anche nella vecchia caserma, si festeggiava la befana con i figli dei Pompieri e la celebrazione della Santa Barbara con tante esercitazioni ginniche ed esercizi al castello di manovra.
Dopo questo inizio brillante, il comandante Bertinatti fu trasferito a Roma e dopo pochi mesi volle che anche Ajovalasit lo seguisse nella nuova sede. I miei ricordi in questo frangente sono molto labili. Ricordo però che vi fu un terribile incendio a Colleferro e l’intervento dei Pompieri fu molto a rischio della loro stessa vita. In quel momento così pericoloso per tutti, papà ebbe un riconoscimento molto sentito: una medaglia di bronzo al valore. Era il 1938. Dopo il breve soggiorno a Roma, ritornò in Sicilia come Comandante del 51° Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Messina.
Si era alla vigilia dello scoppio della II Guerra Mondiale, e la caserma era ancora nelle baracche provvisorie del dopo terremoto!
Ricordo ancora il terribile comunicato alla radio, con cui Benito Mussolini, con grande sussiego annunciava l’ingresso dell’Italia in guerra al fianco della Germania.
Il breve periodo di soggiorno a Messina fu ricco di iniziative per la valorizzazione della città, tanto importante per la sua posizione sullo stretto, e ricchissima di eventi, anche pericolosi. Non ricordo bene l’evento ma in occasione di un intervento sul mare per salvare tante vite umane, papà ebbe conferita dal Ministero della Marina, con decreto 9 febbraio 1941, la Medaglia d’Argento al Valore Militare.
Peccato che gli inizi della guerra, apportarono paura e tanta angoscia in tutta la cittadinanza, proprio per la loro posizione geografica “difficile”.
Il soggiorno a Messina fu piuttosto breve perché l’allora Capo dello Stato Benito Mussolini, pensò bene di allontanare tutti i comandanti siciliani dalla Sicilia e trasferirli al nord Italia. No Comment!
Papà fu trasferito a Bologna e l’ing. Bigi, allora Comandante della città, fu inviato a Palermo.
Mentre ci trovavamo ancora ospiti in albergo, avvenne uno degli incendi più gravi che io ricordi: era il 23 settembre del 1942, quello dentro la galleria ferroviaria denominata ”la direttissima”, che univa la città di Bologna con Firenze. Un inferno al quale lavorarono per diverse ore i vigili di entrambe le città. Fu il primo momento in cui il nuovo comandante si trovò a fianco dei “Suoi Uomini”.
Per quella partecipazione ebbe un prestigioso riconoscimento: una medaglia d’argento.
Pur essendo periodo di guerra, ricordo che papà, visto che i vigili non avevano lenzuola nei letti della caserma, si fece accompagnare in una fabbrica a comprare della tela grezza (quello che potè trovare) che per giorni poi fu messa sul castello di manovra a sbiancare!
In caserma vi era una cappella in disuso da tempo e papà espresse il desiderio di potere ascoltare la domenica la S. Messa senza obblighi per alcuno. Fu sempre piena di vigili e si respirava una atmosfera veramente sentita e mistica.
Altro gravissimo incendio avvenne in una fabbrica militare di Marano di Castanasio sempre vicino Bologna. Ed anche in quella terribile occasione papà ebbe assegnata una seconda medaglia d’argento al valore.
Il Giornale di Sicilia del tempo pubblicò erroneamente un articolo: morte di un Eroe. Per fortuna era una informazione inesatta.
Rimanemmo a Bologna poco più di un anno e papà chiese il trasferimento a Roma alle Scuole delle Capannelle, per avvicinarci un pochino al nostro meridione. Erano tristi momenti in cui non si sapeva veramente quale sarebbe stato il nostro futuro.
Debbo dire che lasciammo Bologna con dispiacere ed il sentimento di amicizia che si era instaurato con gli ufficiali, l’ing. Dall’Osso, e tutto il personale, fu tale che proseguendo le ristrettezze della guerra a Roma, si viveva soltanto con i prodotti della tessera ed erano veramente scarsi, da Bologna, finché vi fu la possibilità, ci facevano giungere per noi bambini, generi alimentari di prima necessità con la corriera.
A Roma affrontammo il terribile 1943!
La Sicilia veniva bombardata dalle fortezze volanti americane e non so se Mussolini si rendesse conto della crudeltà di Hitler e dei danni che stava causando alla nostra bella Nazione.
I primi di luglio era nato a Roma il mio fratellino e ricordo che papà, era il 16 luglio, chiamò i Vigili del Fuoco di Palermo perché potessero comunicare ai miei nonni la nascita del nuovo bimbo. La telefonata fu brevissima perché proprio in quel momento le truppe americane stavano entrando in caserma e papà visse quei terribili momenti involontariamente e casualmente, in diretta, dalla voce concitata del telefonista, costretto ad interrompere la telefonata per dismettere l’impianto. Almeno mi pare di ricordare questo particolare. Una telefonata che ci diede la gravità del momento che stavano vivendo i nostri cari in Sicilia.
Da quel momento nessuna comunicazione avvenne più con la nostra terra e l’Italia si trovò divisa tra gli americani al sud ed i tedeschi in tutto il resto della penisola. Ci stavamo avvicinando a grandi passi ad uno dei momenti più drammatici della nostra storia: l’8 settembre del 1943.
Vittorio Emanuele III decise per l’alleanza con gli Stati Uniti d’America e fuggì con tutta la famiglia a Brindisi sulle navi protette dai nuovi alleati. Noi che stavamo a Roma venimmo a sapere che Umberto I in verità non voleva partire e neppure la regina Elena, che aveva anche il pensiero alle figlie, Giovanna che aveva sposato re Boris di Bulgaria, ucciso poco prima in un attentato e Mafalda che aveva sposato un principe tedesco e si trovava in Bulgaria per assistere la sorella in quei gravi momenti.
Per quanto bambina, ricordo i terribili momenti che abbiamo vissuto, coscienti del fatto che Roma, come tutto il resto d’Italia, era in mano ai tedeschi, ormai nemici. Come si sarebbero comportati?
Prima di questa decisione di allontanarsi da Roma, il Re compì un atto che fece profondamente indignare la regina Elena. Dopo avere convocato il Capo del Governo Mussolini al Palazzo Reale, lo fece arrestare, lì a casa loro! La storia seguente è nota a tutti. Mussolini fu liberato da Hitler che tentò di instaurare in alta Italia un nuovo Stato; le lotte partigiane con numerosissime vittime, e la sua morte, insieme alla signora Claretta Petacci, sua amica e l’esposizione in piazzale Loreto, mi pare, appesi per i piedi a testa in giù.
Particolare da non dimenticare: i nostri eserciti furono lasciati allo sbando senza alcuna disposizione e Roma come tante città italiane, ospitarono le centinaia di sbandati nonostante i tedeschi minacciassero con la pena di morte chi dava loro ospitalità. Anche noi ospitammo in casa un amico di papà che al momento del dramma si trovava comandato a Civitavecchia, l’ing. Carlo Columba. In Sicilia non poteva ritornare perché già occupata dagli Americani e quindi venne a Roma da noi, dove rimase circa nove mesi.
E quale è stato il comportamento dei tedeschi a Roma?
Pronti alla rappresaglia; reagirono all’attentato di via Rasella bloccando interi quartieri e portando centinaia di cittadini alle fosse Ardeatine, sui bordi delle quali mitragliarono i malcapitati che così cadevano direttamente nelle fosse.
A Roma si viveva nel terrore: le Chiese ovviamente ospitavano tanti uomini e ricordo che papà portò personalmente al parroco della Chiesa di S. Agnese, don Mario Marchi, una scala di corda arrotolata sotto braccio per consentire di far nascondere i militari nel sottotetto della Chiesa.
Oltre al pericolo dei tedeschi, l’altro nemico fu la fame.
Oltre le razioni che si potevano ottenere con la tessera, non vi era alcuna possibilità, anche avendo i soldi, di potere comprare qualcosa. Niente.
Anche il Papa Pio XII tentò di aiutarci, mandando i propri mezzi con tanto di stemma pontificio fuori Roma per tentare di portare generi alimentari alla popolazione; ma invano. Venivano mitragliati e vanificati.
In quei terribili momenti, fra l’altro, volevano trasferire mio padre al seguito del nuovo Stato. Papà rifiutò dicendo giustamente che aveva quattro figli di cui uno appena nato. Fu lasciato a Roma ma senza sostegno economico, avendogli tolto lo stipendio.
La mancanza di alimenti fu tale che personalmente, avevo 11 anni, mi svegliai una mattina con le gambe ricoperte di macchie rosse che si trasformarono poi in lividi, impedendomi di camminare. Il medico dei vigili, chiamato per il bisogno disse una semplice parola: denutrizione Comandante! L’unico cibo che papà potè comprarmi furono, le uova a 5 lire l’uno. Non esisteva frutta e l’unica verdura in giro erano le rape.
Nonostante fosse stato sospeso dal suo lavoro, papà continuò ad andare alle Scuole Antincendi delle Capannelle anche per proteggere tutto il materiale scientifico che vi era nei laboratori e lì si trovava il giorno in cui i tedeschi occuparono i locali. Tentò di difendere il patrimonio scientifico chiedendo di poterlo trasferire in caserma. Dopo diverse telefonate con i tedeschi, ne ottenne il permesso, e ricordo che fra il materiale scientifico fece portare via anche dei fusti d’olio che fece conservare nella caserma di via Genova. Il Comandante grato ovviamente gliene lasciò uno per la nostra famiglia. Potete immaginare la gioia di tutti noi.
Cosciente della carenza di olio come di tutto il resto, papà ne fece dono a tutti i condomini dello stabile, portiere compreso, e fatta una piccola scorta in casa il fusto dimezzato fu posto in un cantinato privato che avevamo, come tutti gli altri appartamenti. Un brutto giorno, quando mamma ebbe bisogno di rifornirsi, trovammo il fusto vuoto. Alla domanda di papà al portiere se avesse sentito rumori qualche notte, la risposta fu: «comandante, ma il suo amico non è scritto fra gli ospiti del condominio vero?». Il che ovviamente significò, taci tu e taccio io.
Dimenticavo di raccontare dei cosiddetti orti di guerra. Poiché la via in cui abitavamo, via S. Angela Merici, traversa di via Nomentana nei pressi della stazione Tiburtina, posizione che poi ci “privilegiò” quando ebbero inizio i bombardamenti, era asfaltata a metà, papà e gli altri condomini recintarono parte della strada non asfaltata e realizzarono ciascuno un orticello. Le piantine le comprarono dai giardinieri delle ville esistenti nella vicinanze e finalmente potemmo avere un po’ di verdura fresca. Papà coltivò splendide melanzane, che ci aiutarono molto anche perché servivano per scambiarle con gli ortaggi dei vicini.
A fine luglio del 1943 avvenne il primo grande bombardamento su Roma nonostante fosse stata dichiarata città aperta. La gente abituata a sentire e vedere passare le fortezze volanti quel giorno non pensò di ripararsi e nei quartieri colpiti, tra i quali S. Lorenzo, si ebbero più di mille morti.
Mio padre, che ovviamente corse con le squadre di soccorso, ci raccontò che il Papa per la prima volta uscì a piedi da S. Pietro per benedire le vittime e portare una voce di conforto ai superstiti.
Uno dei siti più colpiti dagli americani, fu l’Abbazia di Monte Cassino, tesoro archeologico e museo, ritenuto covo dei tedeschi. Dopo la caduta in mano americana di questo importante sito, la strada per Roma fu libera e la città fu occupata dopo una lunga serie di bombardamenti che fecero davvero molti danni alla popolazione ed ai luoghi.
Il loro arrivo significò per la popolazione, anche la fine dell’oppressione tedesca, e l’arrivo delle caramelle per i bambini, del cibo e della frutta che non vedevamo da mesi. Le camionette sfrecciavamo per la città con tanti giovani militari che sorridevano alle fanciulle romane, che cominciarono ad occuparsi di qualsiasi tipo di lavoro, essendo gli uomini al fronte; da quelli negli uffici a quelli più umili; nelle strade e sugli autobus, dimostrando veramente l’evidente parità di genere.
Appena fu possibile papà chiese il trasferimento a Palermo, che avvenne dopo un lunghissimo viaggio in treno, interrotto spesso specialmente nelle Calabrie, con tratti percorsi a piedi o su qualche asinello, per superare le zone in cui i ponti erano stati distrutti dai bombardamenti. Tragitti che sono rimasti scolpiti nelle nostre menti, come una notte passata in un alloggio di fortuna nella Sila.
Finalmente giungemmo a Palermo: un sogno dopo l’accidentato passaggio sullo stretto di Messina. Una bella casa in caserma, in un ambiente caro ed ospitale: il nostro meridione.
Non so papà cosa abbia trovato perché non parlava mai di lavoro in casa. Fra l’altro quello che era avvenuto con la presenza degli americani, non tutto era legale. In caserma abbiamo sempre avuto delle ottime squadre con a capo marescialli, molto in gamba; tra questi Macaluso e Campione. Dagli americani furono promossi ufficiali ed avevano preso abitazione al terzo piano degli alloggi ufficiali in caserma. Ritornata la normalità la Direzione Generale non riconobbe queste promozioni ed i due ritornarono al grado di maresciallo. Umanamente papà non volle mortificare i due validissimi collaboratori e diede loro altri incarichi, facendoli vestire in borghese: Macaluso, all’Ufficio Contabilità e Campione alla Protezione Civile. Infatti questo compito era allora assegnato, senza alcun peso economico aggiunto, proprio al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
Alle ore otto di ogni mattina vi era il cambio della guardia che avveniva con le squadre schierate in cortile, ordinatissime, con i loro marescialli, poi, quella smontante andava a casa a riposarsi e gli altri riprendevano ciascuno il proprio lavoro. Infatti, in caserma vi erano officine per affrontare tutti i problemi da quelli meccanici a quelli più semplici di falegnameria o altro. Tutto si aggiustava in caserma. Papà ogni pomeriggio, prima di salire a casa per il pranzo, faceva il giro delle officine per osservare e rispondere a tutti i quesiti che gli venivano posti.
Era un mondo veramente operoso e vigile. L’atmosfera era di ordine, disciplina e rispetto. Papà era pure un punto di riferimento importante per i suoi uomini che quando avevano problemi con i loro figli, glieli portavano perché ascoltassero le sue parole.
Furono quelli del dopoguerra gli anni, in cui papà realizzò il cosiddetto Museo Pesante, ossia con tutti i macchinari in disuso, ma che costituivano la memoria del Comando. Il museo si trovava a piano terra in fondo al corridoio che conduceva alla scala degli appartamenti ufficiali, mentre al secondo piano realizzò il Museo Leggero, con tutti quegli oggetti, elmetti, arnesi e documenti, che costituivano la storia e la vita dei Nostri Uomini.
In quei anni al terzo piano dove si trovavano la cucina e la mensa, papà ospitò una compagnia di attori, l’Arcobaleno siciliano, fondato dal poeta siciliano Giovanni Girgenti, la cui prima attrice era Maria Randazzo in arte zia Maruzza. Furono momenti bellissimi, perché portarono sulle scene il ricco patrimonio del nostro teatro in vernacolo ed erano invitati ad assistere tutte le famiglie dei vigili. Pomeriggi indimenticabili.
In quegli stessi anni visse a Palermo un’indimenticabile figura: Padre Messina, che al foro italico realizzò un luogo per l’accoglienza degli orfanelli, che lui stesso raccoglieva in strada. Ancora oggi molti ricordano la sua grande opera umanitaria. Ricordo che ogni tanto veniva pure in caserma a chiedere aiuto per fare mangiare i suoi orfanelli, con una rudimentale carrozza ed ovviamente non andava mai via a mani vuote: generi alimentari di ogni tipo ed anche qualche capo di vestiario che papà chiedeva a mamma, preso dal nostro piccolo corredo personale. Una volta Padre Messina raccontò a mio padre che il Cardinale, credo Ruffini, voleva promuoverlo Monsignore. Una promozione che rifiutò perché diceva: «Padre Messina era qualcuno tra i Bimbi e nel quartiere, Monsignore Messina, uno sconosciuto».
Che semplicità e che Fede!
Inutile dire che Papà, seguiva tutti i movimenti dei suoi uomini e alcuni dei superstiti in pensione oggi, ricordano che quando avvenivano le chiamate di notte, si affacciava per vedere uscire i suoi uomini, ed io ricordo che non tornava a dormire fino a quando non fossero rientrati.
Ricordo le celebrazioni della Ascensione alla presenza del Cardinale Ruffini. In quella occasione lo spazio del teatro veniva trasformato in Cappella perché numerosa era la partecipazione delle famiglie e le prime comunioni dei piccoli.
Sua Eminenza parlava molto bene e con grande calore umano. Amava accostare alla solennità religiosa, una delle attività dei vigili: Ascendere! E partecipava pure con slancio alle celebrazioni della nostra Patrona Santa Barbara. In una di quelle ricorrenze, seguita dai consueti saggi professionali, il vigile Seggio volle compiere il difficile salto nel telo a scivolo, lanciandosi dall’ultimo piano del castello di manovra. Il telo tenuto dai colleghi non era ben posizionato e il vigile rischiò di non centrarlo. All’ultimo momento Seggio corresse la sua traiettoria dandosi un vigoroso colpo di reni. Sua Eminenza lo volle vicino a sé e si fece promettere che non avrebbe mai più tentato questa difficile esibizione.
Altro momento che è ancora scolpito nella mia mente, la sera della vigilia di Natale. Ascoltavamo la messa tutti insieme nella nostra Cappella e poi rientravamo nel nostro appartamento per la cena con tutti gli ufficiali e le loro famiglie.
Altro momento prestigioso era la sfilata del 2 giugno in via Libertà. Eravamo fieri di vedere i nostri Vigili sfilare con l’Esercito.
Ho ancora dinanzi agli occhi le decine e decine di volti dei “nostri” Uomini – dei nostri gentilissimi attendenti che ci accompagnavano a scuola. I signori Governale e Salvo, per citarne alcuni, dei più giovani come Andrea Scaglione. Furono molto vicini a papà quando lasciò l’abitazione in caserma e si trasferì in via N. Turrisi.
Papà concluse la sua carriera come Ispettore per la Sicilia e la Calabria, ed in ultimo a Roma come Ispettore Generale Capo dei Servizi Antincendi e Protezione Civile.
I riconoscimenti e le onorificenze che gli vennero conferite nel corso della sua lunga e intensa carriera furono molteplici. 2 Medaglie d'Argento e 1 Medaglia di bronzo al Valore Civile, 1 Medaglia d'Argento e 1 Medaglia di bronzo al Valore Militare.
Venne inoltre nominato Cavaliere all’Ordine della Corona d'Italia, Cavaliere Ufficiale e Grand’Ufficiale all’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.