La storia di Roma.
di Danilo Valloni
Il fuoco, dagli inizi primordiali, è stato un elemento fondamentale per l’evoluzione dell’uomo verso la sua civilizzazione, ma con il progredire di questa e la diffusione del suo impiego esso è diventato anche un pericolo da cui difendersi tanto da far nascere la necessità di organizzarsi in qualche modo per farlo, ed è immaginabile che ciò sia avvenuto fin dai tempi più antichi.
E’ per questo che la storia dei Vigili del Fuoco di Roma è lunga quanto meno quanto la nostra civiltà italica e i suoi inizi risalgono circa a quattro secoli prima dell’anno zero. Dalle varie scritture, arrivate incolumi dal passato, si intuisce e si percepisce che le prime forme di difesa contro il fuoco furono tenute a battesimo da chi con il fuoco spesso ci conviveva. In generale erano gli Artigiani, ma nel particolare a Roma furono i Fabbri, che grazie alla propria arte, oltre che a forgiare tutti gli strumenti necessari sia per vivere che per difendersi dalle continue aggressioni, necessariamente con le fiamme avevano quotidianamente a che fare. In pratica questi lavoratori nel tempo si consorziarono attraverso le prime forme di "Mutuo Soccorso". Erano i "Collegia Fabrorum", ovvero le future ‘Corporazioni’ che mosse da un interesse diretto ad istituire al loro interno specifiche organizzazioni che si occupassero del servizio antincendi, trovarono modo di esistere per oltre due secoli. Con il progredire della civiltà e con una città che si espandeva, ma soprattutto si andava sempre più densamente popolando, tanto da determinare la necessità di un’edilizia popolare fortemente intensiva, il problema degli incendi nell’Urbe assunse aspetti drammatici. Per questo motivo a Roma erano frequenti gli incendi ed anche i crolli visto che la maggior parte delle abitazioni nella città erano costruite in legno e su più livelli, le famose ‘insulae’. Basti pensare che già nel 390 a.C., nell’incendio provocato dal saccheggio dei Galli, l’intera città andò a fuoco e si salvò soltanto il Campidoglio, per comprendere come divenisse consequenziale la necessità di un’assunzione diretta da parte dell’amministrazione pubblica della responsabilità della sicurezza. Per questo nel medio periodo repubblicano furono istituiti i ‘Tresvires Capitales’, tre magistrati incaricati di mantenere l’ordine ma anche di prevenire e contrastare gli incendi e che per questo avevano alle loro dipendenze schiavi e servi pubblici appositamente addestrati e dislocati in vari punti intorno alla città. Essi vennero poi affiancati, nel 186 a.C., dai ‘Quinquevires Nocturni’ funzionari di rango inferiore con il compito di svolgere la loro vigilanza nelle ore notturne perché per i magistrati era sconveniente restare in pubblico dopo il tramonto. In seguito si formarono la ‘Familia Pubblica’, un corpo di spegnitori in perlustrazione continua lungo le strade cittadine, e poi la ‘Familia Privata’, costituita da popolani che si prestavano alle stesse mansioni ma a scopo di lucro. A quel punto a Roma, nel 22 a.C. la responsabilità dell’organizzazione del servizio fu data agli ‘Aediles Currules’, e Marco Egnatio Rufo organizzò una forza di 600 schiavi, che non divenne mai comunque adeguata alla situazione cui doveva far fronte. All’inizio dell’epoca imperiale, l’Urbe raggiunse una popolazione di circa 1.000.000 di abitanti, suddivisa in 423 quartieri con oltre 147.000 edifici che facevano largo uso di elementi strutturali in legno. Gli incendi divennero realtà quotidiana, con esiti sempre più tragici, e l’esigenza di dare alla città un servizio antincendi che fosse in grado di assolvere adeguatamente il compito s’avvertì ulteriormente. Fu Augusto, nel 6 d.C., ad istituire la ‘Militia Vigilum’, un corpo con organizzazione paramilitare che andò a sostituire l’istituzione cui sovraintendevano gli ‘Aediles Currules’ sulla quale è opportuno soffermarsi perché, per concezione, impostazione, distribuzione sul territorio ed individuazione dei compiti fu, questa sì, antesignana delle organizzazioni moderne. Il personale, circa 7.000 unità, fu inquadrato in 7 Coorti, da cui anche la denominazione di ‘Cohortes Vigilum’, suddivise a loro volta in 7 Centurie ciascuna delle quali aveva competenza su 2 delle 14 regioni in cui fu divisa l’Urbe da Augusto; In una delle due regioni venne posta la ‘Statio’, cioè la caserma, nell’altra un distaccamento o posto di guardia, detto ‘Excubitorium’. Sono ancor oggi visitabili i resti delle ‘Statio’ di Ostia e di Tivoli (Villa Adriana) e degli ‘Excubitorium’ di Trastevere e del porto di Traiano a Fiumicino. Coorti della ‘Militia Vigilum’ vennero poi istituite anche in altre città dai successivi imperatori. La ‘Militia Vigilum’ era comandata da un funzionario imperiale, di rango equestre, il ‘Praefectum Vigilum’, le ‘Coortie e le ‘Centurie’ rispettivamente erano comandate da tribuni e centurioni provenienti dall’esercito, mentre i militi semplici erano per lo più ex schiavi, cioè liberti, che ottenevano la cittadinanza romana proprio in virtù dell’arruolamento, dapprima dopo un periodo di servizio di sei anni e in seguito di soli tre, con la denominazione di ‘Libertini Milites’. Le attrezzature di dotazione erano per lo più semplici come asce, ramponi, zappe, seghe, pertiche, scale, corde ma non mancavano anche mezzi più specifici come rudimentali pompe a stantuffo e valvole, denominate ‘Siphones’, recipienti per il trasporto dell’acqua, tubazioni di cuoio, drappi di grossa lana intrisi di acqua e aceto, chiamati ‘Centones’; Acqua e attrezzature erano trasportate da carri trainati da cavalli. I militi si distinguevano per la specializzazione che avevano nell’utilizzo delle varie attrezzature. Il motto della Militia Vigilum “Ubi dolor ibi vigiles” verrà mantenuto dalle successive istituzioni romane contro gli incendi che si susseguirono fino all’attuale Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma. Il servizio della ‘Militia Vigilum’ andò con il tempo degradandosi fino a scomparire definitivamente con la caduta dell’impero d’occidente e l’ultimo Prefetto della ‘Militia Vigilum’ prima del suo definitivo decadimento fu dal 367 al 375 d.C. Flavio Massimo. Con lo sgretolarsi dell’impero Romano e di quel tipo di società vennero a mancare i pilastri di sostegno dell’intera istituzione che di fatto lentamente sparì su buona parte del territorio peninsulare. Furono questi i motivi a determinare quella stasi che si protrarrà lungamente per tutto il periodo medievale. Quello che seguì alla caduta dell’Impero Romano fu un periodo di razzie e di sconvolgimenti sociali che vide il disfacimento, oltre che della preesistente organizzazione contro gli incendi, anche di tutte le funzioni delle istituzioni pubbliche e degli apparati amministrativi. Nell’impossibilità di far fronte agli incendi con una qualsiasi forma di organizzazione la gente prese a guardare a questi come a fatti ineluttabili e quindi a considerarli alla stregua di eventi soprannaturali e, addirittura, a subirli come prove o castighi divini a cui sottoporsi. Subentrò la superstizione e non si pensò più di contrastare gli incendi con l’opera umana ma con il ricorso alla fede religiosa per ottenere l’intervento divino. Infatti, verso la fine dell’anno 1000, si attendeva la fine del mondo e tutto lo spirito era rivolto a Dio, tant’è che sul luogo dell’incendio, manifestazione demoniaca, venivano portate immagini sacre per far regredire le fiamme. Tant’è che l’incendio sviluppatosi nel 847 d.C. nel quartiere romano di Borgo, si dice esser stato miracolosamente spento da Papa Leone IV, il quale riuscì a domare le fiamme invocando l’Eterno e gettando sul fuoco i propri paramenti cosi che nel mondo medievale, pervaso da irrazionali paure ed esaltazioni, anche il fuoco tornò ad assumere le caratteristiche primordiali di sacralità, purificazione e castigo. In questo contesto anche quelle confraternite di privati, laici o religiosi che cercavano in qualche modo di organizzarsi, per prestare reciproco aiuto in caso di incendio, in assenza di un qualsiasi interesse da parte dell’autorità politica e civile, finirono per essere guardate con sospetto, o addirittura per incontrare l’aperto ostracismo tanto da dover operare in forma più o meno clandestina e per essere, con il tempo, messe al bando con appositi editti. Con la costituzione del ‘Sacro Romano Impero’, e la conseguente ripresa dell’organizzazione sociale e civile nel suo territorio, e con l’instaurazione di un più fervido clima religioso nel quale l’impegno in favore del prossimo assunse concreta testimonianza di fede, si cominciò ad avere timidi segni di ripristino di misure di salvaguardia dagli incendi. Furono però misure che spesso non andavano oltre all’istituzione di “Vedette” e di sistemi di “Allertamento” oppure all’emanazione di “Editti” per imporre agli artigiani e alla popolazione di intervenire con gli attrezzi del loro mestiere in caso d’incendio il motivo per cui non si giunse all’istituzione di corpi specificamente attrezzati ed acquartierati. Fu con l’avvento dei comuni, e soprattutto con le maggiori autonomie loro concesse da Federico I’ dopo la pace di Costanza nel 1183, che si ricostituì un tessuto sociale organizzato e si ridiede slancio ed efficienza all’amministrazione pubblica che tornò ad essere centrale nelle funzioni di organizzazione del territorio e delle attività artigianali e commerciali. In tale contesto la difesa dagli incendi riprese ad essere guardata con la dovuta attenzione. Roma non fu da meno e se in quei decenni nacquero le confraternite gestite in molte città d’Italia in parte dai ‘Brentatori’, anche nella futura capitale accadde per attinenza la stessa cosa. Solo a partire dalla metà del secolo XIV nelle città più grandi cominciarono ad essere istituite organizzazioni pubbliche, alle dirette dipendenze delle autorità politiche per lo più denominate ‘Guardie al Fuoco’, però con consistenze di qualche decina di uomini e modestamente attrezzate, per cui ancora per lungo tempo le popolazioni si trovarono ad essere esposte, pressoché indifese, ad incendi sempre più frequenti e rovinosi. Come nell’età arcaica di Roma e nell’età dei comuni erano stati gli artigiani, i promotori delle prime organizzazioni per fronteggiare gli incendi, ora sono gli industriali a farsene promotori, mirandole da prima specificamente alla protezione dei loro stabilimenti, ma poi, dato che questi sorgevano all’interno degli ambiti urbani, attrezzandole anche per la protezione della comunità esterna. Nel 1699 l’industriale francese Dumourrier Duperrier propose ed ottenne di costituire un servizio completo ed autonomo antincendio, valendosi dei propri operai, gettando il seme di quella che diverrà la moderna istituzione dei servizi antincendi. Andavano sparendo le ‘Guardie al Fuoco’ e nascevano i “Pompieri”. Dall’organizzazione industriale francese presero le mosse qua e là altre strutture, promosse sia dagli industriali che dalle autorità pubbliche, il cui proliferare servì da stimolo allo studio e alla realizzazione di attrezzature da mettere loro a disposizione e ciò favorì il diffondersi dell’organizzazione di servizi antincendi. Ma la svolta significativa si ebbe con l’inizio del XIX secolo; con l’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte, già nel 1801 in Francia venne ricostituito il corpo della ‘Gard Pompes’ con innovazioni sia degli organici che dei mezzi, ed in seguito fu lo stesso Napoleone che dopo esser scampato, nel 1810, ad un disastroso incendio e aver seguito personalmente l’inchiesta per appurare cause e responsabilità, ad emettere una serie di provvedimenti finalizzati ad una completa riorganizzazione del servizio antincendi creando, nel 1811, il corpo dei ‘Sapeurs Pompiers’. Il fatto fu rilevante perché la nuova organizzazione venne esportata anche nella nostra penisola, nei territori dell’Impero di Francia, del Regno d’Italia napoleonico e del Regno di Napoli. Per questo, dopo un breve periodo che vide a capo del neonato Corpo voluto dal governo Francese l’Ufficiale Pietro Belotti, Corpo costituito da soli 25 uomini con sede provvisoria in uno stabile in Via San Tommaso in Parione, nacque finalmente, intorno al 1810 a Roma, il ‘Corpo dei Pompieri’. L’incarico di organizzare la neonata struttura fu affidato al Marchese Giuseppe Origo, Tenete Colonnello che assunto l’incarico raddoppiò da subito il numero degli uomini e ne trasferì la sede presso il convento della Minerva, nelle adiacenze di Piazza Sant’Ignazio. Coloro che appartenevano a questa prima compagnia erano per lo più artigiani che esercitavano i mestieri di “meccanico, pontarolo, falegname, imbianchino, festarolo, attrezzista di teatro, stagnaro e fontaniere”. Il criterio adottato nella selezione dei nuovi aggregati al Corpo nasceva dalla necessità di disporre di individui dotati di discreta prestazione fisica, accentuata manualità, e spiccata capacità nell’utilizzo delle attrezzature per lo spegnimento degli incendi di cui all’epoca era dotato il Corpo stesso. Terminato il dominio Francese sulla città si ventilò lo scioglimento del Corpo ma PIO VII’ tornato al potere nel 1814, ne riconobbe l’utilità dell’istituzione e la sottopose all’autorità del Governatore e del Tesoriere, entrambi prelati. A quel punto il Corpo assunse la forma di guardia permanente perdendo la dicitura francese di ‘Sapeurs Pompiers’ in ‘Vigili Augustali’ con l’esplicito riferimento all’epoca imperiale. Il Marchese Giuseppe Origo, confermato al comando del gruppo, si dedicò con estrema passione all’organizzazione di tale istituzione occupandosi da un lato di approfondire le origine storiche del Corpo, e dall’altro di ricercare i mezzi ed i materiali più idonei per il buon funzionamento del servizio stesso. Il 26 Giugno 1829, nell’arena del mausoleo di Augusto, il Marchese Origo fece eseguire un esperimento per provare la tenuta al fuoco degli indumenti da lui progettati insieme al fisico bolognese Giovanni Aldini, mentore della materia, facendo passare attraverso un muro di fuoco due vigili, Angelo Luswerg, futuro Comandante, e Domenico Marcelli entrambi usciti illesi. Dopo questo esperimento, molti altri ne seguirono su diretta richiesta del governo stesso; le prime pompe idrauliche per il Corpo dei Vigili di Roma furono invece realizzate sul modello progettato dall’Architetto Piermarini, sotto la direzione del cavalier Scarpellini. Tra i numerosi incendi domati dal Corpo durante il comando del Marchese Origo, il più spaventoso fu senza dubbio quello che distrusse nel 1823 la Basilica di San Paolo fuori le mura. Alla morte del Marchese Origo nell’inverno del 1833, con il Corpo che negli ultimi anni aveva sofferto l’ingresso di personale in sovrannumero scelto senza merito e non idoneo al servizio, divenne Comandante con la carica di Colonnello sino al 1864 Michelangelo Caetani. Nell’arco di quasi trent’anni in cui il Marchese Origo rimase al comando del Corpo, vennero scongiurati più di 1150 incendi di notevoli dimensioni come risulta dalle statistiche riportate nel ‘Giornale di Roma’ tra il 1833 e il 1864. Nel Giugno del 1845 il Papa Gregorio XVI’ fece pubblicare dal Cardinale Mattei il primo regolamento degli antesignani dei Vigili del Fuoco. Il Corpo, anche se organizzato e disciplinato secondo un modello militare, era considerato guardia civile: Qualsiasi corpo militare, compresi i Gendarmi, chiamato ad intervenire insieme al Corpo dei Vigili in operazioni di soccorso, doveva sottostare agli ordini del Comandante dei Vigili. Alla cauta del governo pontificio il principe Chigi rinunciò alla carica e venne sostituito da una commissione provvisoria composta dagli Ufficiali superiori del Corpo. Il 22 Dicembre 1870 venne nominato finalmente Comandante il Principe Onorato Caetani. Due anni dopo gli succedette Vincenzo Gigli ma appena dieci anni dopo il nuovo Comandante in carica rassegnò le dimissioni e prese il suo posto nel 1882 l’Ingegner Luigi Ingami. Come per il precedente dirigente anche qui dopo appena quattro anni ci fu un nuovo avvicendamento ma questa volta dovuto ad un paio di fatti di particolare importanza: Il 5 Dicembre 1886 in Via della Scrofa morirono tre Pompieri precipitando da una scala e le cause furono attribuite ai più all’assenza del Comandante arrivato tardi in posto oltre alla scarsa manutenzione delle attrezzature, probabilmente la prima e unica causa dell’immane tragedia. Il secondo il 1 Gennaio 1887 nell’incendio di Palazzo Odescalchi dove i Pompieri arrivarono con oltre un’ora di ritardo. A quel punto in seguito agli ultimi eventi, dopo un durissimo consiglio comunale, il comando del Corpo fu affidato ad Attilio Anderlini. Purtroppo questo nuovo cambiamento ai vertici non portò i miglioramenti aspettati, anzi lentamente il Corpo perse la spinta che veniva dal passato e di fronte ai nuovi fallimenti finì sotto la lente di ingrandimento delle massime autorità romane. Arrivarono in consiglio comunale una pioggia di interrogazioni parlamentari che portarono, alla fine di un lungo percorso legislativo, nel 1983 a presentare al Sindaco Don Emanuele Rispoli il “Nuovo Regolamento per la riorganizzazione del Corpo dei Vigili”. In base al nuovo regolamento i Vigili accasermati venivano considerati in servizio permanente con una ferma che andava di cinque anni in cinque anni. La Compagnia accasermata risiedeva nella stazione centrale, ubicata in Piazza della Pilotta, nel cortile della Villa Colonna dove venne costruita più tardi l’Università Gregoriana. Alla direzione del nuovo Corpo, composto da centodieci uomini, tra graduati e vigili, venne chiamato il Cavalier Federico Di Maria già Colonnello comandante del Corpo dei Pompieri di Napoli. Nel 1985 il comando del Corpo, in seguito a risultato di pubblico concorso, fu assunto dall’Ingegnere Giuseppe Fucci, uno dei più brillanti ufficiali della Brigata specialisti del Genio il quale nel 1923 trasmise il comando all’Ingegner Giacomo Olivieri, già Vice Comandante dal 1 Agosto del 1900. Durante questi tre decenni anche i Pompieri romani parteciparono alle grandi emergenze nazionali di quel tempo. Dapprima nel 1908 al Sisma di Messina – Reggio Calabria e poi nel 1915 in quello della Marsica. Anche per i Pompieri romani, come per il resto dei Vigili del Fuoco dell’Italia, lentamente arrivò il 1935 e con esso la Legge del 10 Ottobre n’2472 aspettata da almeno due secoli. Con l’Ingegner Venuto Venuti subentrato nel 1930 al suo predecessore, finalmente l’organizzazione passò alle Provincie, coordinate da un Ispettorato Centrale sotto il ministero dell’Interno, e nacque così il Corpo Nazionale Pompieri. Il passo in avanti fu di fondamentale importanza in quanto, nel contesto unitario del Regno e sulla scia del nazionalismo risorgimentale, l’indirizzo si andava ad inserirsi nel contesto delle particolarità regionalistiche e non più strettamente locali. Il comando veniva affidato al capoluogo di Provincia che, nel tessuto territoriale, nominava poi i propri punti satellitari nei distaccamenti o nei punti di vigilanza. Tempo quattro anni ed ecco nascere, sotto la spinta del suo mentore, il Prefetto fascista Alberto Giombini, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco mentre dopo appena sette anni arrivò al comando dei Vigili di Roma l’Ingegner Levante Bertinatti. Da lì a poco ecco arrivare la guerra e con essa i bombardamenti su buona parte del territorio nazionale. Roma non fu da meno e con l’ultimo Comandante di stampo fascista, l’Ingegner Guido Moscato, si ricorda ancora, a memoria d’uomo quello devastante del 19 Luglio del 1943 nel quartiere di San Lorenzo che vide i Vigili del fuoco della capitale in prima linea a portare soccorso alla popolazione tra le tantissime macerie. Finalmente alla fine delle ostilità l’Italia uscì purtroppo comunque sconvolta al suo interno sia nell’economia che nelle strutture politiche ed amministrative. Bisognò decisamente affrontare il problema della ricostruzione e della ripresa economica in seno a grossi contrasti politici e ad una grande tensione di idee. I Vigili del Fuoco di Roma di fronte a queste premesse non si tirarono mai indietro, e nonostante tutto il Corpo Nazionale fosso ridotto anch’esso ai minimi termini, si rimboccarono anch’essi le maniche e nel giro di qualche anno ristrutturarono le sedi colpite, risistemarono gli automezzi, trasformati oramai in ferri vecchi e le attrezzature, tutte provate dai recenti eventi bellici di allora. Con a capo il nuovo Comandante, l’Ingegner Vito Magnotti, i Pompieri capitolini ripresero l’antico slancio e ritornarono dopo poco tempo, in prima linea. Negli anni a venire, chiusa oramai la parentesi bellica, si arriverà al 1950 e con la Legge del 13 Ottobre n’913 nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco prenderà sostanza il servizio militare di leva. Una forma di reclutamento annuale di volontari ausiliari che, nelle linee principali, è rimasta invariata sino all’ultimo Corso, il 192’, terminato alle Scuole Centrali Antincendio di Capannelle nell’anno 2003. Nel 1961, con la Legge del 13 Maggio n. 469, si riordinò nel complesso il sistema normativo e strutturale del personale permanente e si stabilirono le nuove competenze generali che vennero attribuite al Ministero dell’interno. A questo venivano assegnati i servizi di prevenzione ed estinzione incendi, i servizi tecnici per la tutela della pubblica incolumità anche in relazione ai pericoli derivanti dall’impieghi dell’energia nucleare, i servizi nei porti, l’addestramento e l’impiego delle unità preposte alla protezione della popolazione sia in caso di calamità che di guerra. Il Ministero concorreva, inoltre, tramite il Corpo alla preparazione delle unità antincendio per le Forze Armate. Vennero a quel punto, retaggio del passato, soppressi i Corpi dei Vigili del Fuoco e smilitarizzata di fatto l’intera struttura oltre alla Cassa Sovvenzione Antincendi i cui patrimoni vennero devoluti allo Stato creando di fatto un unico Corpo Nazionale diviso in Comandi Provinciali, distaccamenti e posti di vigilanza. Vennero così creati, divisi in otto spazi, gli Ispettorati di Zona per il coordinamento dei Comandi Provinciali. A distanza di circa sessanta anni, Da quel lontano 1961, il Corpo Nazionale ha subito diversi e nuovi passaggi organizzativi, non ultimo il riordino del 2004. Attualmente i Vigili del Fuoco di Roma sono comandati dall’Ingegner Giampiero Boscaino, ultimo di una lunga una schiera di Comandanti iniziati oltre tre secoli orsono. |