Testimonianza di Enzo Ariu.
IL TERREMOTO DELL’IRPINIA NEI MIEI RICORDI
Nei miei pensieri spesso affiorano ricordi della mia precedente attività, poiché dal 1° luglio del 2017 sono un sereno pensionato, tra questi, quello di cui vado scrivendo.
Il 23 novembre 1980 era una domenica, ero in servizio di prima squadra e, alla guida dell’autopompa, al rientro da altro intervento, eravamo inviati in Torino Via San Donato n.° 38.
Non era certa la natura della richiesta d’intervento ma entrando a mezzo di un lungo corridoio, nel cortile condominiale ci fu presto chiaro l’evento. Attorno al cortile si affacciavano diverse costruzioni abitative di quattro piani fuori terra, uno di questi era letteralmente imploso su se stesso, trascinando al proprio interno quanto in esso contenuto.
Dopo le prime approssimative informazioni ricevute da altri residenti, la nostra attenzione fu attratta da flebili gemiti provenienti dai cumuli di macerie.
Scattò la nostra mobilitazione che iniziò rimuovendo febbrilmente le macerie a mano, mentre giungevano dalla sede centrale altri colleghi e mezzi, da noi richiesti in rinforzo.
Estraemmo dalle macerie una donna che, seppur ferita, era ancora in vita.
La giornata di lavoro proseguì per tutto il giorno con la messa in sicurezza di alcuni manufatti e l’aiuto alle persone, private temporaneamente delle loro abitazioni, ricuperando loro le cose necessarie a trascorrere le prime ore di quella nuova condizione.
Era stata una giornata impegnativa ma eravamo soddisfatti di come questa era trascorsa.
La sera, rientrato a casa ricevetti una strana telefonata, era di un emigrato italiano in Svizzera che aveva preso casualmente il mio numero di telefono da un elenco a sua disposizione e che, poiché non riusciva a mettersi in contatto con i propri parenti residenti in Campania, avendo avuto notizia di un terremoto che aveva interessato quella zona, mi chiedeva se ne avessi notizia.
Risposi che, pur essendo un vigile del fuoco, non avevo conoscenza dell’avvenimento e che mi sarei informato. Telefonai in sede e da un collega in turno di servizio, ricevetti la conferma e la richiesta di presentarmi in servizio la mattina successiva poiché stavano affluendo in sede altri colleghi, mentre quelli in servizio si stavano predisponendo per l’immediata partenza con le sezioni operative di colonna mobile; era scattato il piano d’emergenza nazionale per un grave terremoto che aveva coinvolto l’Italia del sud!
Nel corso della notte le prime sezioni operative partirono, seguite da un nuovo invio la mattina.
Mi presentai in servizio come d’accordo e mi furono affidati alcuni compiti nell’ambito dell’autorimessa, quali portare alla concessionaria Fiat alcune campagnole andate fuori servizio in occasione del terremoto del Friuli quattro anni prima, e il controllo di altri automezzi utili all’evento.
Il secondo giorno, fui inviato anch’io, con il terzo contingente, ad Avellino, dove operavano i colleghi partiti prima di me.
Dopo un viaggio estenuante con la vecchia “corriera” Fiat 306, che concorsi a guidare alternandomi con un altro collega, giungemmo sul piazzale dello stadio “Partenio” dell’Avellino A.C., dove era stato insediato il “Campo base Piemonte e Valle d’Aosta”, a cui si aggiunsero nei giorni successivi quello della Calabria e della Sardegna.
Il 4 dicembre 1980 (Santa Barbara), ebbi la straordinaria sorpresa di riabbracciare proprio nel “nostro” campo base mio fratello Sandro, arrivato proprio ad Avellino con la sezione operativa inviata dal Comando VV.F. di Oristano.
Fummo inviati con mezzi in quantità consistenti a Cervinara, un paesino per la verità interessato marginalmente dagli effetti disastrosi del sisma, ma dove i notabili locali tentarono di utilizzarci, per scopi a noi non chiari.
Mentre eravamo inoperosi nella realtà sopracitata, ci giungevano notizie disastrose dai luoghi dove il sisma aveva maggiormente “picchiato”, con persone ancora imprigionate dalle macerie, mentre il tempo trascorreva inesorabile sulle possibilità delle loro sopravvivenze.
Il quotidiano Il Mattino di Napoli, uscì con un’esortazione a caratteri cubitali in prima pagina: “FATE PRESTO”.
Riuscimmo, non senza proteste ed insistenze, a sganciarci da quella situazione e rientrare al nostro “campo base”, dove incappammo in un’altra assurda situazione: l’ingegnere responsabile del campo era nel pieno di una crisi emotiva e non prendeva alcuna decisione; ci auto organizzammo e con i nostri Capi Squadra confluimmo sui territori dove operavano sezioni operative VV.F. di altre regioni.
Finalmente cominciammo ad operare, consapevoli che molto tempo prezioso era andato perso!
Fummo ospitati nelle tende in dotazione all’epoca, prive di fondo, dove il freddo cominciava a farsi sentire e ci era di scarsa consolazione il poco cibo che riuscivamo a consumare.
Poiché non era stata ancora allestita una sala mensa, consumavamo quei pasti frugali, nei giorni di pioggia a ridosso dei cassoni dei Fiat 639, camion della colonna mobile con cui eravamo costretti a muoverci nei complessi contesti operativi, poiché privi di mezzi alternativi.
La brodaglia che riuscivamo a consumare spesso portava traccia galleggiante dei lapilli di gasolio incombusto con cui era alimentata la “cucina Biffani”.
Nel contesto descritto riuscimmo ad essere comunque utili e svolgere il nostro lavoro, come sempre!
Operammo a Solofra, Ariano Irpino, San Mango sul Calore e dintorni; tornai ad Avellino per un secondo turno operativo a cavallo tra la fine di febbraio ed i primi di marzo del 1981.
Quel terremoto determinò il fallimento del sistema nazionale di Protezione Civile, così come era stata concepita fino ad allora dalla legge “996 del 1970”, che aveva tra le altre il limite di non considerare la previsione e la prevenzione degli eventi, ricordo l’ira dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini al proposito.
A differenza della mia esperienza in Friuli di quattro anni prima, in cui le vittime furono 976, la nuova esperienza, in cui le vittime furono 2914, seppur in un’area molto più ampia, mi sconcertò, spingendomi assieme ad altri colleghi, a proporre possibili soluzioni sulla materia.
Nel corso del 1981, anche con il contributo del sindacato, presentammo un nostro progetto, riuscendo a sensibilizzare le autorità locali, che ci misero a disposizione la Sede del Consiglio Regionale del Piemonte, presso il Palazzo Lascaris dove, nell’atrio d’ingresso fu ospitata per la durata di un mese, una mostra fotografica con immagini realizzate da noi VV.F..
Nella struttura, si tennero due conferenze, a cui parteciparono scienziati, studiosi e politici, tra questi lo stesso Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che argomentarono sulla necessità di realizzare una mappatura sismica del territorio nazionale, sui criteri costruttivi del futuro patrimonio edilizio, come intervenire nel consolidare l’esistente nei medesimi territori e una diversa disciplina di gestione delle emergenze.
La politica nazionale, spesso divisa da interessi di parte, discusse per anni sulla nuova impostazione da dare ad un sistema adeguato di Protezione Civile e, finalmente superare il vecchio assetto operativo.
Dopo diversi passaggi parlamentari, si giunse a “scorporare” dalla tematica emergenziale la questione della protezione civile e ben dodici anni dopo, fu finalmente emanata la legge del 24 febbraio 1992 n.° 225, che costituì una disciplina organica vera e propria; nacque il Servizio Nazionale della Protezione Civile che riconobbe, all’art. 11, la particolare peculiarità dei VV.F. riconoscendoci quale “componente operativa fondamentale della protezione civile “.
Sempre nel 1981, la Camera del Lavoro di Torino ci fece l’onore di farci aprire il corteo del 1° Maggio; sfilammo in quell’occasione con un’allegoria in cui le calamità dell’Italia furono rappresentate da un collega impersonante una strega, ed altrettanti colleghi che sostenevano dei cartelloni (realizzati anche con il contributo delle consorti mia e di Michele), in cui erano rappresentati i sette Nani di Biancaneve e altrettante calamità che avevano coinvolto il territorio nazionale.
Tornai ad Avellino trent’anni dopo, nel novembre del 2010 in occasione del 30° anniversario. Vi partecipai dando un contributo a realizzare, con diverse mie immagini, una mostra che si tenne nel nuovo “Teatro Carlo Gesualdo” costruito dopo il terremoto.
In quell’occasione incontrai tra gli altri, con sincera emozione, due fratelli di una famiglia numerosa, sfollata ed ospitata in tendopoli, all’epoca rispettivamente di dodici e otto anni, che erano stati “adottati quali nostre mascotte”.
Nei miei pensieri spesso affiorano ricordi della mia precedente attività, poiché dal 1° luglio del 2017 sono un sereno pensionato, tra questi, quello di cui vado scrivendo.
Il 23 novembre 1980 era una domenica, ero in servizio di prima squadra e, alla guida dell’autopompa, al rientro da altro intervento, eravamo inviati in Torino Via San Donato n.° 38.
Non era certa la natura della richiesta d’intervento ma entrando a mezzo di un lungo corridoio, nel cortile condominiale ci fu presto chiaro l’evento. Attorno al cortile si affacciavano diverse costruzioni abitative di quattro piani fuori terra, uno di questi era letteralmente imploso su se stesso, trascinando al proprio interno quanto in esso contenuto.
Dopo le prime approssimative informazioni ricevute da altri residenti, la nostra attenzione fu attratta da flebili gemiti provenienti dai cumuli di macerie.
Scattò la nostra mobilitazione che iniziò rimuovendo febbrilmente le macerie a mano, mentre giungevano dalla sede centrale altri colleghi e mezzi, da noi richiesti in rinforzo.
Estraemmo dalle macerie una donna che, seppur ferita, era ancora in vita.
La giornata di lavoro proseguì per tutto il giorno con la messa in sicurezza di alcuni manufatti e l’aiuto alle persone, private temporaneamente delle loro abitazioni, ricuperando loro le cose necessarie a trascorrere le prime ore di quella nuova condizione.
Era stata una giornata impegnativa ma eravamo soddisfatti di come questa era trascorsa.
La sera, rientrato a casa ricevetti una strana telefonata, era di un emigrato italiano in Svizzera che aveva preso casualmente il mio numero di telefono da un elenco a sua disposizione e che, poiché non riusciva a mettersi in contatto con i propri parenti residenti in Campania, avendo avuto notizia di un terremoto che aveva interessato quella zona, mi chiedeva se ne avessi notizia.
Risposi che, pur essendo un vigile del fuoco, non avevo conoscenza dell’avvenimento e che mi sarei informato. Telefonai in sede e da un collega in turno di servizio, ricevetti la conferma e la richiesta di presentarmi in servizio la mattina successiva poiché stavano affluendo in sede altri colleghi, mentre quelli in servizio si stavano predisponendo per l’immediata partenza con le sezioni operative di colonna mobile; era scattato il piano d’emergenza nazionale per un grave terremoto che aveva coinvolto l’Italia del sud!
Nel corso della notte le prime sezioni operative partirono, seguite da un nuovo invio la mattina.
Mi presentai in servizio come d’accordo e mi furono affidati alcuni compiti nell’ambito dell’autorimessa, quali portare alla concessionaria Fiat alcune campagnole andate fuori servizio in occasione del terremoto del Friuli quattro anni prima, e il controllo di altri automezzi utili all’evento.
Il secondo giorno, fui inviato anch’io, con il terzo contingente, ad Avellino, dove operavano i colleghi partiti prima di me.
Dopo un viaggio estenuante con la vecchia “corriera” Fiat 306, che concorsi a guidare alternandomi con un altro collega, giungemmo sul piazzale dello stadio “Partenio” dell’Avellino A.C., dove era stato insediato il “Campo base Piemonte e Valle d’Aosta”, a cui si aggiunsero nei giorni successivi quello della Calabria e della Sardegna.
Il 4 dicembre 1980 (Santa Barbara), ebbi la straordinaria sorpresa di riabbracciare proprio nel “nostro” campo base mio fratello Sandro, arrivato proprio ad Avellino con la sezione operativa inviata dal Comando VV.F. di Oristano.
Fummo inviati con mezzi in quantità consistenti a Cervinara, un paesino per la verità interessato marginalmente dagli effetti disastrosi del sisma, ma dove i notabili locali tentarono di utilizzarci, per scopi a noi non chiari.
Mentre eravamo inoperosi nella realtà sopracitata, ci giungevano notizie disastrose dai luoghi dove il sisma aveva maggiormente “picchiato”, con persone ancora imprigionate dalle macerie, mentre il tempo trascorreva inesorabile sulle possibilità delle loro sopravvivenze.
Il quotidiano Il Mattino di Napoli, uscì con un’esortazione a caratteri cubitali in prima pagina: “FATE PRESTO”.
Riuscimmo, non senza proteste ed insistenze, a sganciarci da quella situazione e rientrare al nostro “campo base”, dove incappammo in un’altra assurda situazione: l’ingegnere responsabile del campo era nel pieno di una crisi emotiva e non prendeva alcuna decisione; ci auto organizzammo e con i nostri Capi Squadra confluimmo sui territori dove operavano sezioni operative VV.F. di altre regioni.
Finalmente cominciammo ad operare, consapevoli che molto tempo prezioso era andato perso!
Fummo ospitati nelle tende in dotazione all’epoca, prive di fondo, dove il freddo cominciava a farsi sentire e ci era di scarsa consolazione il poco cibo che riuscivamo a consumare.
Poiché non era stata ancora allestita una sala mensa, consumavamo quei pasti frugali, nei giorni di pioggia a ridosso dei cassoni dei Fiat 639, camion della colonna mobile con cui eravamo costretti a muoverci nei complessi contesti operativi, poiché privi di mezzi alternativi.
La brodaglia che riuscivamo a consumare spesso portava traccia galleggiante dei lapilli di gasolio incombusto con cui era alimentata la “cucina Biffani”.
Nel contesto descritto riuscimmo ad essere comunque utili e svolgere il nostro lavoro, come sempre!
Operammo a Solofra, Ariano Irpino, San Mango sul Calore e dintorni; tornai ad Avellino per un secondo turno operativo a cavallo tra la fine di febbraio ed i primi di marzo del 1981.
Quel terremoto determinò il fallimento del sistema nazionale di Protezione Civile, così come era stata concepita fino ad allora dalla legge “996 del 1970”, che aveva tra le altre il limite di non considerare la previsione e la prevenzione degli eventi, ricordo l’ira dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini al proposito.
A differenza della mia esperienza in Friuli di quattro anni prima, in cui le vittime furono 976, la nuova esperienza, in cui le vittime furono 2914, seppur in un’area molto più ampia, mi sconcertò, spingendomi assieme ad altri colleghi, a proporre possibili soluzioni sulla materia.
Nel corso del 1981, anche con il contributo del sindacato, presentammo un nostro progetto, riuscendo a sensibilizzare le autorità locali, che ci misero a disposizione la Sede del Consiglio Regionale del Piemonte, presso il Palazzo Lascaris dove, nell’atrio d’ingresso fu ospitata per la durata di un mese, una mostra fotografica con immagini realizzate da noi VV.F..
Nella struttura, si tennero due conferenze, a cui parteciparono scienziati, studiosi e politici, tra questi lo stesso Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che argomentarono sulla necessità di realizzare una mappatura sismica del territorio nazionale, sui criteri costruttivi del futuro patrimonio edilizio, come intervenire nel consolidare l’esistente nei medesimi territori e una diversa disciplina di gestione delle emergenze.
La politica nazionale, spesso divisa da interessi di parte, discusse per anni sulla nuova impostazione da dare ad un sistema adeguato di Protezione Civile e, finalmente superare il vecchio assetto operativo.
Dopo diversi passaggi parlamentari, si giunse a “scorporare” dalla tematica emergenziale la questione della protezione civile e ben dodici anni dopo, fu finalmente emanata la legge del 24 febbraio 1992 n.° 225, che costituì una disciplina organica vera e propria; nacque il Servizio Nazionale della Protezione Civile che riconobbe, all’art. 11, la particolare peculiarità dei VV.F. riconoscendoci quale “componente operativa fondamentale della protezione civile “.
Sempre nel 1981, la Camera del Lavoro di Torino ci fece l’onore di farci aprire il corteo del 1° Maggio; sfilammo in quell’occasione con un’allegoria in cui le calamità dell’Italia furono rappresentate da un collega impersonante una strega, ed altrettanti colleghi che sostenevano dei cartelloni (realizzati anche con il contributo delle consorti mia e di Michele), in cui erano rappresentati i sette Nani di Biancaneve e altrettante calamità che avevano coinvolto il territorio nazionale.
Tornai ad Avellino trent’anni dopo, nel novembre del 2010 in occasione del 30° anniversario. Vi partecipai dando un contributo a realizzare, con diverse mie immagini, una mostra che si tenne nel nuovo “Teatro Carlo Gesualdo” costruito dopo il terremoto.
In quell’occasione incontrai tra gli altri, con sincera emozione, due fratelli di una famiglia numerosa, sfollata ed ospitata in tendopoli, all’epoca rispettivamente di dodici e otto anni, che erano stati “adottati quali nostre mascotte”.