Testimonianza di Fausto Fornari.
LA MIA ESPERIENZA AL TERREMOTO IN IRPINIA NEL 1980
Nella serata del 23 novembre 1980, l’Irpinia venne scossa da un terremoto molto forte che fece moltissimi danni e anche molte vittime.
In quegli anni, prestavo servizio al Comando VVF di Mantova e mi ricordo che ci chiamarono a casa per cui dovemmo rientrare al Comando. Venne dato il preallarme e successivamente l’allarme e l’ordine di partenza.
Naturalmente, visto che partirono subito una quindicina di uomini, venne ripristinato l’orario che prevedeva solo 2 turni che si avvicendavano (si era tornati alle 24 ore). Io partii con altri quattordici colleghi dopo qualche giorno per dare il cambio a quelli che erano sul posto da alcuni giorni.
Si partì da Mantova alle quattro del mattino per recarci al Comando di Milano. Qui ci diedero le pastiglie contro il tifo e altre malattie e partimmo con la Colonna Mobile della Lombardia, sui bus doppi dell’ATM, in serata ci fermammo a Roma presso le Scuole di Capannelle dove consumammo la cena.
Credevamo di rimanere alle Scuole per riposare qualche ora, invece ci fecero subito ripartire per arrivare a Materdomini il mattino seguente.
Mi ricordo che il nostro campo base non era in pianura, ma in montagna e i bus dell’Atm che erano lunghi dovevano fare le manovre sui tornanti perché non riuscivano a girarsi. Appena arrivati a Materdomini, ci fu solo il tempo di portare gli zaini nelle tende, poi partimmo subito per Conza della Campania dove il personale di Mantova stava operando. Un ricordo che mi è rimasto nella memoria è che sulla spianata dove erano sistemate tutte le tende c’era una chiesa che era tutta circondata dalle bare vuote.
Furono giornate di lavoro molto intenso, perché si scavava quasi sempre a mani nude per recuperare ancora delle vittime e anche, su richiesta degli abitanti, le cose che potevano loro servire: indumenti, somme di denaro e preziosi che però noi dovevamo prima consegnare ai Carabinieri. Il paese era completamente raso al suolo, era rimasta in piedi soltanto la torre dell’acquedotto.
Siccome eravamo abbastanza distanti dal campo base di Materdomini, trovammo nelle vicinanze una struttura in legno costruita dai volontari emiliani, che ci davano di che pranzare, e lo facevamo assieme alla popolazione locale sfollata.
Alla sera al rientro, volendo si poteva fare la doccia che però era su un rimorchio all’aperto e distante dalla tenda, allora ci lavavamo, con dei secchi d’acqua in tenda. Si dormiva vestiti nei sacchi a pelo e al mattino sul passamontagna, che non toglievamo per tenere calda la testa, c’era la brina.
I primi giorni eravamo sistemati in una tenda rotonda abbastanza grande e per riscaldarci usavamo un bidone, quelli da 2 q.li che contenevano l’olio motore, per cui oltre che scaldarci, ci affumicavamo anche.
Per la cena, si andava al carro cucina del Comando di Varese, si ritirava il vassoio e si cenava in tenda con il cibo che si raffreddava per il freddo e la neve e si annacquava per la pioggia perché il vassoio non aveva nessun coperchio.
Riuscimmo a telefonare a casa una o due volte, perché al campo avevano installato un paio di cabine telefoniche (allora non esistevano ancora i cellulari), per cui si doveva fare la fila. Un ricordo particolare che ho proveniva da una radiolina di qualcuno, dalla quale sentimmo che avevano sparato a John Lennon.
Purtroppo un giorno il mio collega nel salire sul ACT 639, chiuse la portiera e mi schiacciò il pollice destro, per cui gli ultimi giorni, non potendo lavorare (mi avevano dovuto steccare il dito), rimasi al campo come capo tenda.
Venne il giorno del cambio, era se non mi sbaglio il 12 dicembre, da Mantova arrivò il personale che ci doveva sostituire, per cui si rientrò al Comando e poi a casa (a Cremona) dove arrivai il 13 dicembre.
Nella serata del 23 novembre 1980, l’Irpinia venne scossa da un terremoto molto forte che fece moltissimi danni e anche molte vittime.
In quegli anni, prestavo servizio al Comando VVF di Mantova e mi ricordo che ci chiamarono a casa per cui dovemmo rientrare al Comando. Venne dato il preallarme e successivamente l’allarme e l’ordine di partenza.
Naturalmente, visto che partirono subito una quindicina di uomini, venne ripristinato l’orario che prevedeva solo 2 turni che si avvicendavano (si era tornati alle 24 ore). Io partii con altri quattordici colleghi dopo qualche giorno per dare il cambio a quelli che erano sul posto da alcuni giorni.
Si partì da Mantova alle quattro del mattino per recarci al Comando di Milano. Qui ci diedero le pastiglie contro il tifo e altre malattie e partimmo con la Colonna Mobile della Lombardia, sui bus doppi dell’ATM, in serata ci fermammo a Roma presso le Scuole di Capannelle dove consumammo la cena.
Credevamo di rimanere alle Scuole per riposare qualche ora, invece ci fecero subito ripartire per arrivare a Materdomini il mattino seguente.
Mi ricordo che il nostro campo base non era in pianura, ma in montagna e i bus dell’Atm che erano lunghi dovevano fare le manovre sui tornanti perché non riuscivano a girarsi. Appena arrivati a Materdomini, ci fu solo il tempo di portare gli zaini nelle tende, poi partimmo subito per Conza della Campania dove il personale di Mantova stava operando. Un ricordo che mi è rimasto nella memoria è che sulla spianata dove erano sistemate tutte le tende c’era una chiesa che era tutta circondata dalle bare vuote.
Furono giornate di lavoro molto intenso, perché si scavava quasi sempre a mani nude per recuperare ancora delle vittime e anche, su richiesta degli abitanti, le cose che potevano loro servire: indumenti, somme di denaro e preziosi che però noi dovevamo prima consegnare ai Carabinieri. Il paese era completamente raso al suolo, era rimasta in piedi soltanto la torre dell’acquedotto.
Siccome eravamo abbastanza distanti dal campo base di Materdomini, trovammo nelle vicinanze una struttura in legno costruita dai volontari emiliani, che ci davano di che pranzare, e lo facevamo assieme alla popolazione locale sfollata.
Alla sera al rientro, volendo si poteva fare la doccia che però era su un rimorchio all’aperto e distante dalla tenda, allora ci lavavamo, con dei secchi d’acqua in tenda. Si dormiva vestiti nei sacchi a pelo e al mattino sul passamontagna, che non toglievamo per tenere calda la testa, c’era la brina.
I primi giorni eravamo sistemati in una tenda rotonda abbastanza grande e per riscaldarci usavamo un bidone, quelli da 2 q.li che contenevano l’olio motore, per cui oltre che scaldarci, ci affumicavamo anche.
Per la cena, si andava al carro cucina del Comando di Varese, si ritirava il vassoio e si cenava in tenda con il cibo che si raffreddava per il freddo e la neve e si annacquava per la pioggia perché il vassoio non aveva nessun coperchio.
Riuscimmo a telefonare a casa una o due volte, perché al campo avevano installato un paio di cabine telefoniche (allora non esistevano ancora i cellulari), per cui si doveva fare la fila. Un ricordo particolare che ho proveniva da una radiolina di qualcuno, dalla quale sentimmo che avevano sparato a John Lennon.
Purtroppo un giorno il mio collega nel salire sul ACT 639, chiuse la portiera e mi schiacciò il pollice destro, per cui gli ultimi giorni, non potendo lavorare (mi avevano dovuto steccare il dito), rimasi al campo come capo tenda.
Venne il giorno del cambio, era se non mi sbaglio il 12 dicembre, da Mantova arrivò il personale che ci doveva sostituire, per cui si rientrò al Comando e poi a casa (a Cremona) dove arrivai il 13 dicembre.