La storia di Viterbo.
di Danilo Valloni
Le origini dei servizi antincendi nel territorio dell’attuale provincia di Viterbo si perdono nella notte dei tempi. Come testimoniano alcuni documenti epigrafici giunti sino ai giorni nostri, già in età imperiale nell’insediamento romano di Sorrina Nova, che sorgeva poco fuori l’attuale Viterbo in direzione delle terme del Bullicame, esistevano collegi di fabbri e centonari, all’epoca presenti anche in molte altre città d’Italia e delle province. Si trattava di corporazioni che, nate come associazioni di mestiere tra artigiani professionisti, avevano con il tempo assunto la funzione di veri e propri corpi di pompieri municipali, con mansioni del tutto analoghe a quelle che a Roma erano disimpegnate dal corpo dei vigiles, istituito da Augusto nel 6 d.C.. Come questi ultimi, anche i fabbri e i centonari nell’esercizio della loro quotidiana attività utilizzavano pompe, secchi, scale, pertiche e grosse coperte, dette centones (da cui il nome di una delle due corporazioni) che, imbevute di acqua e aceto, venivano impiegate per soffocare le fiamme e forse anche per proteggersi dal fuoco nel corso degli interventi più pericolosi. La presenza di simili corporazioni è attestata anche per altre località della zona, come Volsinii, l’attuale Bolsena, e Ferento, fiorente cittadina che sorgeva a pochi chilometri di distanza da Viterbo e che da quest’ultima fu completamente rasa al suolo durante le lotte dell’età medievale.Pur in assenza di fonti storiche puntuali, è plausibile ritenere che tali corporazioni continuassero ad operare fin verso la fine del IV o l’inizio del V secolo dopo Cristo, quando ebbe inizio la progressiva dissoluzione degli apparati amministrativi romani conseguente all’ingresso entro i confini dell’impero delle popolazioni barbariche provenienti dalle steppe eurasiatiche. Da quel momento e per molti secoli a venire, scomparsa ogni traccia di istituzioni pubbliche deputate alla prevenzione e alla estinzione degli incendi, tali compiti furono lasciati alla spontanea iniziativa della popolazione. La rinascita successiva all’anno Mille, con la ripresa dei traffici commerciali, il generale incremento demografico e la creazione dell’istituzione comunale, la cui data di nascita a Viterbo è tradizionalmente fissata all’anno 1085, fece risorgere nelle autorità cittadine l’attenzione per le problematiche inerenti la sicurezza della collettività. Ne sono importante testimonianza gli statuti comunali viterbesi, il primo dei quali risale alla metà del XIII secolo, che contenevano precise disposizioni in materia di prevenzione incendi, disciplinando con particolare attenzione l’utilizzo del fuoco e l’esercizio delle professioni che comportavano l’impiego di sostanze infiammabili.Alla fine del XVI secolo risale il primo tentativo delle autorità viterbesi di dare vita ad un corpo organizzato appositamente dedicato alla lotta contro gli incendi. Il 6 maggio 1582 il vicelegato Carlo Conti che governava la città in nome del cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, emanò di concerto con i priori e il consiglio comunale un bando con cui il compito di provvedere allo spegnimento degli incendi veniva affidato a facchini e muratori, ai quali si faceva obbligo di accorrere non appena fosse stato richiesto il loro intervento o avessero udito il suono della campana a stormo che segnalava la presenza di un incendio. La scelta era ben fondata: mentre i facchini erano i più adatti a trasportare sul luogo dell’incendio i grossi contenitori con l’acqua da usare per domare le fiamme, i muratori erano gli artigiani più esperti nell’utilizzo delle tecniche e degli strumenti necessari per rompere il fronte del fuoco ed evitare che le fiamme si propagassero da un’abitazione all’altra.Nonostante la mancanza di informazioni precise, si è però indotti a ritenere che questo primo servizio antincendi cittadino fosse tutt’altro che efficace: non si spiegherebbe in altro modo l’atteggiamento fatalista che la popolazione continuò a tenere di fronte agli incendi, per il cui spegnimento, spesso impossibile per le deboli forze umane, si continuò a fare affidamento sull’intervento delle entità celesti: ad essere invocata in caso di incendi era molto spesso la protezione di santa Rosa, la giovane viterbese che nella prima metà del XIII secolo si era fatta interprete dei sentimenti dei suoi concittadini contro l’eretico imperatore Federico II ed in cui onore, la sera del 3 settembre di ogni anno, viene trasportata a spalla dai “facchini” una grandiosa macchina processionale, seguita da un picchetto di vigili del fuoco che ne garantisce la sicurezza; a partire dalla seconda metà del XV secolo iniziò ad essere invocata anche la protezione della Madonna della Quercia, in onore della quale in quegli anni venne edificato un maestoso santuario poco fuori Viterbo ed alla cui intercessione furono attribuiti diversi episodi di persone miracolosamente salvate dalle fiamme o dai fulmini. All’inizio del XIX secolo, quando Viterbo entrò per alcuni anni a far parte dell’impero francese, risale il primo vero progetto di istituzione di un corpo di civici pompieri sull’esempio dei sapeurs-pompiers creati da Napoleone e dei corpi municipali che, ad imitazione di questi, erano sorti in varie città italiane. Nella notte del 16 settembre 1812 un incendio di vaste proporzioni mandò in fumo un deposito di stracci annesso ad una cartiera in pieno centro cittadino. I mezzi impiegati per cercare di estinguere le fiamme si rivelarono del tutto inadeguati, dimostrando la necessità di dare vita ad uno stabile e più efficiente servizio antincendi. Preso atto di quanto accaduto, il consiglio comunale approvò la spesa per l’acquisto di una pompa antincendi, al cui impiego avrebbero dovuto provvedere alcuni artigiani viterbesi addestrati da un pompiere proveniente dal corpo di Roma, nato appena due anni prima. Nonostante l’entusiasmo iniziale, forse anche a causa dei rivolgimenti politici che caratterizzano quegli anni e che portarono in breve al crollo del regime napoleonico, il progetto non andò però in porto. Con la restaurazione del potere pontificio, il compito di provvedere allo spegnimento degli incendi venne assegnato all’autorità di pubblica sicurezza, priva di qualsiasi specifica formazione in materia, che come per il passato vi provvedeva, quasi sempre con scarsi risultati, avvalendosi del concorso spontaneo della popolazione.
Solo con l’ingresso nel regno d’Italia anche a Viterbo, sull’esempio delle altre città italiane, le autorità comunali cominciarono ad impegnarsi seriamente per l’istituzione di un corpo di civici pompieri. Il 5 ottobre 1870, ad appena tre giorni dal plebiscito che aveva sancito l’annessione allo Stato unitario e dopo che l’ennesimo incendio aveva dimostrato l’inadeguatezza del servizio antincendi allora esistente, la giunta provvisoria deliberò la creazione di una apposita commissione deputata a studiare le modalità più convenienti per l’istituzione del corpo dei pompieri municipali. La commissione si giovò della collaborazione di Giacomo Luswergh, pompiere di provata esperienza proveniente del corpo di Roma, che in breve tempo elaborò una proposta approvata all’unanimità dal consiglio comunale nella seduta dell’11 gennaio 1871. Anche a causa di difficoltà economiche che ritardarono l’acquisto di idonea attrezzatura, dovettero però passare ancora alcuni anni prima che la proposta formulata dal Luswergh, vero padre fondatore dei pompieri viterbesi, potesse trovare effettiva attuazione. Finalmente il 4 gennaio 1874, definito ogni aspetto organizzativo, il sindaco Giacomo Lomellini d’Aragona poté emanare un comunicato con cui informava la cittadinanza dell’entrata in funzione del primo corpo dei pompieri municipali viterbesi. Posto alle dirette dipendenze del sindaco e della giunta municipale e sotto il comando dell’ingegnere capo dell’ufficio tecnico comunale, il corpo dei civici pompieri, il cui organico fu considerevolmente ridotto nel 1876 per ragioni di contenimento della spesa pubblica, ebbe la sua prima sede in piazza del Plebiscito, dove rimase fino al 1939, quando si trasferì in viale Raniero Capocci. Nel luglio dello stesso anno, in occasione del primo campo nazionale del neonato Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al corpo dei pompieri viterbesi, ormai organizzato su base provinciale e non più comunale, venne attribuito il numero 93 ed il motto “In flammae aestu agere obstinati” (“Nell’ardor della fiamma ad oprar decisi” secondo la versione italiana). Durante la seconda guerra mondiale i vigili del fuoco viterbesi si adoperarono con dedizione e sacrificio in favore della città duramente colpita dai bombardamenti, prodigandosi nell’opera di soccorso alla cittadinanza dopo le martellanti incursioni aeree alleate. Durante una di queste, il 27 maggio 1944, le bombe angloamericane colpirono un locale del centro cittadino in uso ai vigili del fuoco, sotto le cui macerie rimase ucciso Vincenzo Massera, alla cui memoria venne intitolato alcuni anni dopo il gruppo sportivo del comando provinciale di Viterbo. Era il secondo vigile del fuoco a perdere la vita in servizio, preceduto il 20 maggio 1928 da Enrico Massantini, morto a causa di un incidente stradale in cui rimase coinvolto un mezzo del corpo al rientro da una esercitazione, e seguito il 7 luglio 1988 da Paolo Garofolo, deceduto durante un intervento di soccorso nel comune di Farnese. Nel 1960 la sede del corpo fu trasferita nella caserma di via Valerio Tedeschi, messa a disposizione dall’amministrazione provinciale. Il 6 febbraio 1971 i vigili del fuoco viterbesi furono tra i primi ad accorrere in soccorso della popolazione di Tuscania, colpita da un forte terremoto che provocò numerose vittime. L’anno successivo, per rendere più efficiente l’opera di soccorso nella parte meridionale della provincia, venne istituito il distaccamento di Civita Castellana, oggi dedicato alla memoria del vigile volontario Giuliano Lipperi, deceduto in servizio a causa di un malore il 7 luglio 2017. Il distaccamento di Gradoli, già attivo nel periodo estivo a partire dal 1991, venne istituito come distaccamento permanente a servizio della parte settentrionale della provincia nel giugno 1997. La sede di Tarquinia, già attiva per pochi anni nel corso della seconda guerra mondiale e poi in orario diurno a partire dal 1997 grazie ad una convenzione stipulata annualmente con la Regione Lazio, è stata trasformata in distaccamento permanente nel luglio del 2018. Nel giugno dello stesso anno sono iniziate le operazioni di trasferimento della sede centrale di Viterbo presso la nuova struttura sita alla periferia nord della città sulla strada statale Cassia. Oltre ad assicurare la loro continua opera di soccorso su tutto il territorio provinciale, a partire dal sisma marsicano del 1915 i vigili del fuoco viterbesi hanno preso parte a tutte le più importanti operazioni di soccorso di rilievo nazionale, tra le quali sono degne di particolare menzione per la difficoltà delle operazioni e per l’impegno profuso quelle conseguenti ai gravi terremoti del Belice nel 1968, umbro-marchigiano nel 1997, abruzzese nel 2009 e a quello che ha colpito l’Italia centrale tra la tarda estate del 2016 e l’inizio dell’anno successivo. Attualmente per l’espletamento dei propri compiti istituzionali il comando può contare su circa duecento unità operative, cui si aggiungono circa venti unità dei ruoli tecnico-professionali per lo svolgimento di attività amministrativo-contabili e tecnico-informatiche. L’impegno e la sinergia di queste componenti permettono al comando di mettere al servizio della collettività la propria opera di soccorso, prevenzione e protezione ventiquattro ore su ventiquattro per tutti i giorni dell’anno. |