Il contributo dei vigili del fuoco nella Resistenza.
di Michele Sforza
“Miei cari,
pochi istanti prima di morire vi mando
questo mio saluto.
E’ l’ultimo e per questo credo
sia forse il migliore”.
13 marzo 1945
(Ermete Voglino vigile-partigiano di Torino fucilato dai nazi-fascisti)
pochi istanti prima di morire vi mando
questo mio saluto.
E’ l’ultimo e per questo credo
sia forse il migliore”.
13 marzo 1945
(Ermete Voglino vigile-partigiano di Torino fucilato dai nazi-fascisti)
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Le difficoltà incontrate per la ricostruzione di una così importante pagina di storia dei vigili del fuoco, sono state diverse per la frammentarietà della documentazione, che ha costituito una barriera spesso insormontabile per la ricomposizione degli avvenimenti. Sicuramente queste lacune trovano una loro giustificazione in una precisa fase storica in cui gli avvenimenti incalzavano e si succedevano a ritmo febbrile; ebbene in quei frangenti pochi avevano cura di annotare ciò che si andava dipanando sotto gli occhi di tutti, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
In queste condizioni l’unico strumento a disposizione sono state le testimonianze verbali. Ma a volte anche queste fonti non sono venute in soccorso, perché i ricordi sono leniti dal tempo, perché ognuno individualmente ha vissuto in modo diverso una stessa emozione, perché non sempre vi era un’unità d’intenti, e non di meno perché vi è una giustificata riluttanza a parlare di fatti ancora dolorosi, nonostante gli anni trascorsi. Tentiamo comunque sulla base delle informazioni acquisite di ricostruire un breve profilo e di mettere insieme i tasselli di un intenso e per questo intricato momento storico. Molti pompieri pur non avendo alcun obbligo di servizio militare, scelsero spontaneamente di unirsi alle prime formazioni partigiane che si andavano formando un po’ ovunque, abbandonando la relativa tranquilla certezza di giungere alla fine del conflitto, indipendentemente dagli esiti, incolumi dagli eventi perché protetti dai privilegi di un Corpo indispensabile, che richiedeva è vero un impegno duro e pericoloso, ma che restituiva volendo un’ottima nicchia al riparo degli avvenimenti. Molti di loro preferirono unirsi all’azione dei combattenti della montagna, dandosi spontaneamente ad una lotta fatta di pericoli, carcere, deportazioni, pagando spesso anche con la vita la coerenza della scelta. E fu una scelta ancor più pericolosa se si considerano i vincoli e i controlli, continuamente esercitati dalle autorità fasciste sull’attività dei vigili del fuoco. Necessitava così combattere il regime ben due volte; la prima in modo diretto imbracciando un’arma, la seconda cospirando affinché non fosse palese l’attività clandestina. L’intelligenza dei responsabili permise la coniugazione dei due momenti, tanto da riuscire a mettere su una capillare ed efficiente organizzazione. Le delazioni e le denunce in percentuale alle azioni compiute furono poche. Fondamentalmente il vigile del fuoco, anche il più tiepido o indifferente agli avvenimenti, non era un convinto assertore della causa fascista. E lo si evince dai numerosi casi di rifiuto della tessera del fascio e di giuramento alla Repubblica sociale. È bene porre l’accento su questa che è una delle pagine più belle ed intense dei vigili del fuoco, ancora tutta da scrivere ed analizzare. Una memoria raccolta con grande fatica, da conservare, ma soprattutto ad ammaestramento delle nuove generazioni, i depositari del domani, a cui affidare la vigilanza della verità e dei valori della pace. Per molti degli irrequieti pompieri del nostro Paese, all’indomani dell’8 settembre 1943 giorno dell’annuncio della firma dell’Armistizio con gli alleati, fu un fatto del tutto naturale e spontaneo schierarsi con l’emergente movimento di resistenza, e di diventarne con il trascorrere dei mesi uno dei maggiori punti di riferimento. Essendo già sufficientemente politicizzati e antifascisti, per molti vigili la scelta di campo non fu un fatto casuale fu anzi la conclusione “naturale” di un processo critico affermatosi e consolidatosi con la conoscenza dei drammi umani che si verificarono durante le terribili incursioni che dal 1940 flagellarono, da Nord a Sud tantissime nostre città. Pur essendo sottoposti al regime militare, dopo l’8 settembre ovunque i pompieri rimasero al loro posto a differenza dell’esercito che, lasciato senza direttive, sbandò. La for te avversione si acuì anche con il rientro nel Corpo di quei vigili del fuoco impegnati sui vari fronti di guerra. Questi narrarono non solo le sofferenze della guerra, ma anche il disgusto per il comportamento sleale dei militari tedeschi nei loro confronti sui campi di battaglia. Nei comandi e nei distaccamenti già nei primi giorni del settembre 1943, incominciò per i pompieri l’attività segreta con il compito di procurare armi, viveri, vestiario, materiale clandestino di propaganda, protezione alle formazioni partigiane, che man mano si andavano formando sui monti, occultamento di ebrei destinati ai rastrellamenti. Nei giorni successivi all’8 settembre si verificarono, quindi, moltissimi casi di latitanza, tant’è che i vertici dei comandi preoccupati del fenomeno che assumeva ogni giorno di più vere dimensioni di fuga, dovettero emanare delle disposizioni anche repressive, nel tentativo di controllare il fenomeno che raggiunse l’acme nel gennaio 1944, quando i casi di latitanza e di abbandono del servizio subirono un’ulteriore brusca impennata. Molti per non rispondere alla chiamata alle armi nella ricostituita Repubblica sociale, nonostante i bandi di minaccia, scelsero la latitanza schierandosi apertamente per un impegno totale nell’azione partigiana. Non tutti i vigili scelsero però la strada dei monti. Altri, con una scelta altrettanto coraggiosa e forse più pericolosa, preferirono rimanere ai loro posti per svolgere nella clandestinità azioni di cospirazione, di fiancheggiamento e di sabotaggio, avvalendosi della situazione logistica e organizzativa del Corpo, come automezzi, materiali, benzina, lasciapassare, documenti, mezzi di comunicazione. Si aggregarono in modo spontaneo perché mossi da un unico ideale politico e da un medesimo desiderio: combattere i nazi-fascisti, in qualunque modo e con qualsiasi mezzo. In una sua testimonianza scritta Giovanni Mantelli ex maresciallo dei vigili del fuoco di Torino, lui stesso deportato successivamente a Mauthausen per motivi politici, ha fornito in modo molto semplice e con grande umiltà, una preziosa testimonianza di come riuscivano a far fuggire gli ebrei in luoghi sicuri: “Durante la resistenza noi partigiani dei vigili del fuoco, svolgevamo diversi ser vizi per gli antifascisti e specialmente per gli ebrei, trasferendoli dalle loro case all’ospedale Mauriziano. Questo ci esponeva a un grande pericolo. Il trasporto avveniva con un’ambulanza dove la caposala, Suor Giovanna, accoglieva con amore tanta povera gente. Gli ebrei venivano qui ricoverati e successivamente destinati per i luoghi più diversi, salvandoli in tal modo dalla deportazione nei campi di concentramento. Per noi era una grande soddisfazione salvare più persone possibili dallo Ritornavamo in caserma contenti di aver fatto una buona azione, anche se tutti sapevano che poteva costarci la vita”. L’azione cospirativa esponeva i pompieri-partigiani a continui pericoli di rappresaglia da parte dei nazi-fascisti. Le rigide misure precauzionali che venivano prese dai componenti e da chi era a conoscenza dell’attività, a volte venivano meno, e tra le maglie intessute a protezione dei resistenti filtravano delazioni e indiscrezioni, accompagnate spesso da errori fatali, tali da mettere a rischio non solo l’incolumità dei singoli, ma l’intera struttura organizzativa, per giungere infine in taluni casi all’annientamento di interi gruppi di resistenza. Molti di essi vennero catturati con conseguenze facilmente immaginabili. Solo a Torino tra le fila dei suoi vigili del fuoco, ben 32 pompieri caddero in azioni di combattimento o fucilati a seguito di rastrellamenti o deceduti nei campi di concentramento. Come dimenticare la storia di Pensiero Stringa, Giuseppe Gibellino, Francesco Aime, Giovanni Bricco e tanti altri. Fasi storiche drammatiche ma anche dense di passionalità ed emozioni, che legavano gli uomini vigili del fuoco tra di loro forse più di qualunque altra cosa, accomunati da un destino duro, incerto, ma coinvolgente e carico di speranze e di fiducia per un futuro che tutti si auguravano migliore. Uomini legati, indipendentemente dalla loro fede politica e dalla scelta di campo che sovente li contrapponeva, da un intento comune: il bene del prossimo. Seppero persino convivere, negli ultimi mesi del regime fascista, con una strana alchimia specchio di un’indole tutta italiana, i rossi con i neri, senza che gli uni sopraffacessero mai gli altri. Il dato certo comunque era che i vigili del fuoco a dispetto degli eventi che imponevano una scelta di schieramento, rimasero sempre al loro posto vicini alla gente, senza mai farsi travolgere dagli avvenimenti che sconvolgevano il nostro Paese. Sempre in prima linea pronti. Non vi fu né il 25 luglio, né l’8 settembre, né i duri anni del 1944 e del 1945 a dividerli e a distoglierli dalla loro nobile missione, anche a costo del sacrificio della propria vita per il futuro di tutti noi. Dare alla gente colpita negli affetti e nei beni dalla furia distruttiva delle bombe e dalla ferocia nazista, un segnale tangibile anche minimo a cui affidare un significato di continuità proiettato in avanti, un filo conduttore tra il passato, che per tante persone fu annullato completamente, e un futuro che comunque doveva esserci. Fu questo l’imperativo dei vigili del fuoco italiani. |